Andromeda, indagini chiuse

La Procura distrettuale di Catanzaro ha chiuso il cerchio a carico di 46 persone coinvolte nella maxi operazione antimafia contro la famiglia Iannazzo e il clan satellite Cannizzaro Da Ponte

di Gabriella Passariello
8 marzo 2016
11:25

Associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, ricettazione, detenzione illegale di armi. Il sostituto procuratore della Dda del capoluogo calabrese Elio Romano ha chiuso le indagini a carico di 46 persone coinvolte nella maxi operazione antimafia, denominata, “Andromeda”, condotta, il 14 maggio 2015, dalla Squadra mobile, dalla Dia dal Gico di Catanzaro, contro la famiglia Iannazzo e il clan satellite Cannizzaro-Da Ponte. Una cosca di elite, che puntava a fare affari nelle aziende, riconosciuta autonoma nel lametino, capace di arrivare anche in Svizzera, Irlanda e di tessere rapporti con la ‘ndrangheta Reggina, quella dei Pesce Bellocco e dei Mancuso di Limbadi. Una vera e propria cosca imprenditoriale come l'ha descritta il gip Domenico Commodaro firmatario dell’ordinanza di 45 misure cautelari, che non disdegnava in passato di far ricorso alle armi ma, che oggi ha scelto una nuova connotazione, di essere mafia imprenditrice. Addirittura dall'estero dove risiedeva Vincenzino Iannazzo, sarebbero arrivati tramite "pizzini" le indicazioni puntuali e precise sulle strategie imprenditoriali delle società a lui riconducibili. Tra gli indagati c’è anche l’imprenditore Francesco Perri, proprietario del centro commerciale due mari di Maida, finto all’epoca dei fatti in manette. Sarebbe stato proprio il noto imprenditore, accusato di associazione mafiosa, a tentare di fare gambizzare il fratello Marcello Perri per questioni di eredità. In manette fra gli altri il boss Vincenzo Iannazzo, il fratello Giovanni, un medico dell’aeroporto di Lamezia Raffaele Caparello che curava gli interessi della cosca. Agli indagati vengono contestati a vario titolo oltre l’associazione a delinquere di stampo mafioso, una serie di estorsioni ai danni di imprenditori, episodi traffico d’armi, anche gli omicidi. In particolare è stata fatta luce sull’omicidio di Vincenzo Torcasio, all’epoca reggente dell’omonima cosca, ucciso nel maggio del 2003 davanti al commissariato di Lamezia Terme: il presunto killer, Gennaro Pulice, è stato arrestato in provincia di Alessandria.

 


LA MAFIA IMPRENDITRICE

 

Nell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip del Tribunale di Catanzaro Domenico Commodaro su richiesta del pm distrettuale Elio Romano viene ricostruita la temibile consorteria criminale dei Iannazzo, individuando i ruoli di vertice del sodalizio :Vincenzino Iannazzo detto “Il Moretto”, Pietro Iannazzo, Francesco Iannazzo detto “Cafarone” e le alleanze costituite nel corso degli anni con le cosche Giampà e Nannizzaro – Da Ponte. Il capocosca Vincenzino Iannazzo, tramite alcuni indagati, che fungevano da prestanome, gestiva direttamente due aziende lametine, la Tirrena costruzioni srl e Cascina della Bontà, determinandone di fatto le scelte aziendali pur non risultando tra i soci.

 

Il MEDICO COLLUSO

 

Raffaele Caparello, medico dell’Asl in servizio all’aeroporto di Lamezia Terme, si sarebbe prestato su richiesta dei Iannazzo a redigere certificazioni mediche attestanti patologie non veritiere trasmesse poi all’Inps di Lamezia Terme, che a sua volta erogava ad un’altra indagata, dipendente della società Tirrenia costruzioni le somme spettanti a titolo di indennità per malattia, per ottenere indebitamente i benefici previsti dalle leggi sul lavoro.

 

LA MANCATA REALIZZAZIONE DEL LIDL

Nel corso delle indagini è emersa la vicenda della mancata realizzazione di un centro commerciale della nota catena Lidl a Lamezia Terme, in località Savutano, area sotto il dominio della cosca Iannazzo. In particolare Pietro Iannazzo, 40enne e Caludio Scardamaglia, 43nne, entrambi raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare avrebbero dapprima costretto gli operai della ditta che si stava occupando dei lavori di sbancamento del terreno per la realizzazione del supermercato ad abbandonare i lavori e poi con minaccia aggravata dal metodo mafioso, avevano indotto l’imprenditore aggiudicatario dei lavori di abbandonare l’iniziativa imprenditoriale sul terreno in questione che successivamente viene ceduto proprio a Scardamaglia.

 

I NOMI DEI 46 INDAGATI

 

Vincenzino Iannazzo, detto "U Moretto", 61 anni; Francesco Iannazzo, detto "U Cafarone", 60 anni; Antonio Davoli, 59; Antonio Provenzano, 56 anni; Pietro Iannazzo, 40; Giovannino Iannazzo, 58; Santo Iannazzo, 58 anni; Antonio Iannazzo, detto "Mastro 'Ntoni", 58; Emanuele Iannazzo, 34; Vincenzino Lo Scavo, 59; Peppino Buffone, 60; Adriano Sesto, 41; Bruno Gagliardi, 41; Alfredo Gagliardi, 37; Francesco Costantino Mascaro, 41; Francesco Perri, detto "Franco", 47; Domenico Antonio, detto Mimmo, 50; Antonino Cannizzaro, detto Antonello, 36 anni; Angelo Anzalone, 37 anni, Domenico Cannizzaro, 38 anni; Domenco Cannizzaro, detto “Ricciolino”, 40 anni; Mario Chieffallo, 65; Antonio Chieffallo, 33; Vincenzo Torcasio, 37; Gino Giovanni Da Ponte, 53 anni; Peppino Da Ponte, 55; Francesco Salvatore Pontieri, 48; Peppino Marrazzo, 55; Pasquale Lupia, 52; Antonio Liparota, 47; Vincenzo Bonaddio, 56 , Antonio Muraca, 46 Gregorio Scalise, 23 anni; Rocco Tavella, 31; Mariantonia Santoro, 50 (domiciliari); Vasyl Koval, 32 ; Vincenzo Giampa', 45 . Nathalie Angele Zingraff, 41 anni; Antonello Caruso, 45; Alessandro Provenzano, 28; Angelo Provenzano, 46; Giuseppe Cavaliere, 59; Claudio Scardamaglia, 43 ; Raffaele Caparello, 66 (obbligo di dimora); Nadia Jannate, 42; Gennaro Pulice, 37 anni, Pietro Paolo Stranges, 38 anni, Matteo Vescio, 34 anni.

 

Gabriella Passariello

 

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