Migranti e sicurezza: primi bilanci per il comandante del porto di Reggio

Emergenza sbarchi, tutela del mare e della navigazione. Su tutto, 800 chilometri di costa, 30 uffici marittimi, 700 persone in servizio. I numeri e i compiti della direzione marittima facente capo al capitano di vascello Antonio Ranieri, che parla a poco più di un mese dal suo insediamento

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di Monica La Torre
4 novembre 2019
20:12

A distanza di qualche settimana dal suo insediamento il capitano di vascello Antonio Ranieri, Direttore Marittimo della Calabria e della Basilicata tirrenica e Comandante del porto di Reggio Calabria, fa chiarezza sui compiti e le sfide che lo attendono. Non senza aver prima chiarito il peso specifico della sua regione, nella gestione delle attività ordinarie e straordinarie che competono alle Capitaneria di Porto: ad iniziare dalle attività di soccorso ai migranti.

Un’intervista, la sua, con due premesse. La prima a sottolineare come sul soccorso il principale punto di riferimento sia la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (SAR, Search and Rescue) siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979 in sede Omi- Organizzazione marittima internazionale delle Nazioni Unite. Aldilà del diritto, nulla tange al regolare svolgimento degli incarichi di legge. («La Capitaneria di Porto, Corpo della Marina Militare e con dipendenza funzionale dal Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, soccorre proprio per decreto di tale Ministero - dichiara Ranieri a tale proposito -. Agisce per specifico obbligo giuridico. Effettuato il soccorso, una volta messe in sicurezza le persone, il compito si inserisce in un quadro operativo e normativo più complesso e articolato, nel quale altri contribuiscono secondo i propri compiti e responsabilità»).


La seconda, è la valutazione dell’estensione territoriale del tratto di mare di competenza, tra i più estesi d’Italia (e, in proporzione, d’Europa). La Calabria, insieme a Sicilia e Sardegna, è una delle regioni di più ampia estensione costiera. Circa 800 km di costa, monitorati da 30 uffici marittimi, ad iniziare dalle sedi della Guardia Costiera quale parte operativa, dove operano circa 700 unità di personale in servizio. Una macchina complessa, che il Comandante Ranieri guida dal 27 settembre scorso, giorno in cui è subentrato al Contrammiraglio Giancarlo Russo.

 

Che competenze avete?


«Delle 11 funzioni individuate dall'Unione Europea per gli organismi preposti al controllo della costa, 9 sono effettuate in via esclusiva dalla Guardia Costiera. Il controllo delle dogane e dei confini nazionali viene fatto dalla Guardia di Finanza e Polizia di Frontiera con cui noi collaboriamo».

 

Qual è il vostro ruolo nella gestione dell'emergenza migranti?

«Per le dimensioni del fenomeno, l’emergenza migranti non era certo riconducibile all’ordinaria amministrazione. Quindi ha comportato una risposta operativa eccezionale. Ci siamo attrezzati, ci siamo organizzati e ci siamo adattati, orientando risorse e strumenti idonei a rispondere alle necessità delle zone sensibili: Calabria compresa. I tratti di mare interessati dal fenomeno oggi accolgono i nostri mezzi più performanti. Ed essere, noi, un corpo militare, ha agevolato non poco l'efficacia della risposta».



La materia ha tenuto banco nel dibattito politico. In che modo ne avvertite il peso?


«La Guardia Costiera soccorre persone. Dal surfista al diportista, dal pescatore al migrante. È nostro dovere morale, prima che il nostro lavoro. Non si lascia in mare nessuno. E se il fenomeno della migrazione chiede una riposta adeguata, lo Stato la fornisce».


E le reazioni dell’opinione pubblica?


«L’organizzazione che ci siamo dati a livello nazionale risponde alla Convenzione di Amburgo. Il diritto del soccorso in Italia è regolato da questa. Il nostro Paese ha diviso il suo litorale organizzando la maglia Sar (Search and Rescue) in risposta a questa convenzione: dividendo cioè acque e competenze in modo tale da poter raggiungere nel giro di un'ora ogni punto del tratto di mare di nostra responsabilità. Per dare l'idea della organizzazione necessaria, basti pensare che l'Italia è responsabile di un tratto di mare pari al doppio della sua estensione territoriale. Questo da la misura della mole di lavoro che siamo chiamati ad assolvere».


Tornando alla sua Direzione, in concreto, cosa comporta questa organizzazione?


«In Calabria sono dislocate unità costiere specificamente dedicate al soccorso a Cetraro, Vibo Valentia, Gioia Tauro, Reggio, Crotone e Corigliano. Il personale è operativo e pronto a muovere 24 ore su 24 in ognuno di questi porti, ed unità dedicate al soccorso anche a Maratea e Catanzaro Lido. Qui vi sono mezzi minori non sottoposti ad una turnistica h24, ma comunque di supporto alle operazioni generali. A terra fanno da sponda gli uffici noti come Unità costiere di guardia».

 

A parte la gestione dell’emergenza migranti, quali altre attività portate avanti?

«Guardiamo alla materia ambientale ed alla pubblica sicurezza. Negli ultimi anni le capitanerie di porto, ad iniziare da quelle calabresi, lavorano in sinergia con tutte le forze dell'ordine. Siamo i servitori dello stesso datore di lavoro: lo Stato. Noi nasciamo con dei compiti precisi. E per portarli avanti, abbiamo una struttura regionale che mi vede a capo, al servizio di chi si affaccia ai nostri mari, di chi lo vive per lavoro e di chi lo frequenta per motivi turistici».

 

Qual è il compito più gravoso?


«La tutela del mare è una sfida immensa. La tutela delle risorse ittiche, la difesa da possibili fonti di inquinamento quali l’estrazione della ghiaia dalle fiumare, i residui di lavorazioni industriali (ad esempio i frantoi, la lavorazione degli agrumi , etc.), i depuratori inefficienti, gli scarichi non collettati alle reti comunali. Siamo attenti a tutte le possibili fonti di inquinamento, ma è una attività particolarmente intensa. Facciamo molto anche per la tutela della specie ittica, penso alla pesca del “bianchetto”, del pesce spada e del tonno e delle altre specie all’età giovanile. È un gioco tra persone che rivestono ruoli diversi, bisogna sempre aggiornarsi. Ma in fondo il nostro lavoro affascina anche per quello. Ed oggi rappresenta la sfida vera, senza esclusione di colpi».

 

La Capitaneria adempie anche ad impegni burocratici?


«Certo, sempre legati a materia di sicurezza della navigazione. Iscriviamo le navi nel registro delle capitanerie, e rilasciamo certificazioni di “idoneità”.Lo facciamo per tutte le navi straniere che approdano in Italia, e controlliamo e “deteniamo” le navi che non rispondono agli standard cui deve sottostare il naviglio nazionale. L’Italia è nella White List della navigazione mondiale nel settore della sicurezza della navigazione. Siamo uno dei paesi virtuosi. E ciò, lo si deve alla qualità di tuti gli operatori del settore ed anche al nostro lavoro».

 

Come giudica il rapporto con la classe armatoriale?


«C’è una capacità ottima di interlocuzione con il cluster marittimo. Hanno capito che adeguandosi alle norme di sicurezza più avanzate, fanno in modo che le loro navi lavorino meglio. In sintesi: la Guardia Costiera, le capitanerie di porto lavorano per gli usi civili e produttivi del mare. E questo è tanto più impegnativo quanto più siamo in Calabria, una regione di fatto che potremmo definire non di radicate tradizioni marinare, benché circondata dalle acque».

 

Come giudica il rapporto tra i calabresi ed il mare?


«Tutto da costruire. Abbiamo margini enormi di crescita, di potenzialità in termini fruizione delle coste. I litorali dovrebbero moltiplicare le offerte, i servizi. Bisognerebbe investire di più, creare nuove strutture, penso ad esempio alle potenzialità di Roccella come approdo dei diportisti da e per la Grecia. Si può, e si deve investire. Ma questa perizia, questa capacità, questo indirizzo la deve dare il mondo dell’impresa e la politica. Noi dobbiamo concentrare i nostri sforzi a fare bene il nostro lavoro collaborando con le istituzioni».

 

Quale è stata la sua carriera?


«Dopo la laurea in economia e commercio ho svolto il servizio militare di leva, in Marina. Nel mio servizio a Reggio Calabria ho avuto modo di conoscere e lavorare con Natale De Grazia, medaglia d'oro al merito di Marina. Il suo modus operandi, la sua passione, mi ha affascinato. Il suo esempio è stato la molla che mi ha fatto sposare la sua strada. Lui era un uomo di alto spessore, un servitore dello Stato, che mi ha insegnato come l’unica via perseguibile sia quella di essere sempre al servizio di tutti. Così, nonostante avessi comunque fatto e vinto un altro concorso nella pubblica amministrazione, scelsi di rimanere in questo settore. Volevo imitarlo».

 

Cosa ricorda di questi anni?


«Il decennio trascorso a Gioia Tauro. Lavorare in un porto fortemente interessato da traffici marittimi internazionali e le  dinamiche complesse legate alla logistica globale mi hanno fatto crescere molto. I miei interlocutori erano pragmatici, diretti. Si aspettavano risposte concrete, sempre. E questa esperienza mi ha dato il senso dell'organizzazione, utile nelle situazioni più disparate».

 

Giornalista
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