Arresti clan Forastefano, ecco come funzionava la truffa all'agenzia interinale

Così il gruppo criminale finito nell'operazione Kossa incassava denaro contante attraverso il falso impiego di braccianti agricoli. Tre dipendenti delle poste accusati di favoreggiamento 

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di Salvatore Bruno
17 febbraio 2021
06:25
Operazione Kossa, la conferenza stampa organizzata in Questura a Cosenza
Operazione Kossa, la conferenza stampa organizzata in Questura a Cosenza

La truffa ai danni dell’Alma, un’agenzia interinale con sede a Napoli, oggi finita in concordato preventivo, era stata escogitata dal gruppo dei Forastefano sia per lucrare sugli stipendi dei braccianti, sia per non accumulare debiti con l’Inps per il mancato versamento dei contributi. La stipula di contratti di somministrazione del lavoro, infatti, esonerava le aziende agricole da ogni onere retributivo, contributivo e previdenziale, ribaltandolo in capo all’agenzia interinale alla quale poi bisognava saldare le fatture relative alle ore di lavoro somministrate. Ma la consorteria criminale aveva già in animo di non pagare l’Alma per le prestazioni offerte a beneficio delle aziende agricole intestate al prestanome e componente del clan Luca Talarico. I

l reclutamento dei braccianti

Con la complicità di due dipendenti dell’agenzia per il lavoro di Sibari, riferimento locale di Alma, Antonio Antolino e Leonardo Falbo, ora finiti in carcere, erano state reclutate decine di lavoratori in parte inconsapevoli, assunti attraverso documenti iscritti nella banca dati della stessa agenzia; in parte compiacenti, ovvero in accordo con il clan di farsi assumere in modo fittizio con l'accordo di restituire a Luca Talarico le spettanze corrisposte da Alma, così da percepire in seguito dall’Inps indebite indennità di disoccupazione agricola ed altri benefit previdenziali. Una parte dei lavoratori poi effettivamente prestava la propria opera nell’azienda agricola, ma per un numero di giornate inferiore a quelle dichiarate. La differenza retributiva relativa alle giornate percepite ma non lavorate, veniva restituita a Luca Talarico.


Il meccanismo della truffa

Antolino e Falbo poi, trasmettevano alla sede centrale di Alma falsi prospetti attestanti giornate lavorative mai svolte oppure, come detto, svolte parzialmente dai lavoratori somministrati. Alma accreditava loro gli stipendi sulla base di quelle dichiarazioni mendaci. Poi i lavoratori restituivano i soldi, in tutto o in parte, a seconda che avessero o meno prestato la propria opera, a Luca Talarico. Per incassare gli stipendi dei lavoratori inconsapevoli, ovvero di coloro che erano stati assunti a loro insaputa, veniva indicato ad Alma di procedere al pagamento con bonifico domiciliare.

La presunta complicità degli impiegati postali

Quella del bonifico domiciliare è una pratica che consente di inviare un pagamento tracciabile ad una persona che non dispone di strumenti per l’accreditamento, ovvero di conti correnti o carte prepagate. Per incassare le somme poi, gli intestatari dei bonifici devono recarsi presso un qualsiasi ufficio postale e presentare la lettera di accreditamento con il relativo Pin. Nel caso specifico, tali dati erano elaborati dall’agenzia di Sibari dell’Alma, dove appunto, operavano Antolino e Falbo che poi li passavano ad un incaricato dei Forastefano. Ma per gli inquirenti doveva essercu una complicità da parte di alcuni impiegati postali che, senza alcuna remora, e naturalmente senza la presentazione di alcuna valida delega, hanno pagato le somme nelle mani di uno degli arrestati, Gianfranco Arcidiacono, al quale era stato delegato questo particolare segmento della truffa.

Cento euro per bonifico

Su 261 bonifici domiciliari bel 168 sono stati riscossi da Arcidiacono nel remoto ufficio postale di San Cosmo Albanese ed altri 31 nell’ufficio postale di Firmo. Altri 34 a Villapiana Scalo. I tre impiegati allo sportello che hanno effettuato le operazioni sono tutti indagati per favoreggiamento. L’ipotesi è che percepissero un compenso per ogni bonifico pagato. Ipotesi corroborata da una conversazione intercettata tra Luca Talarico ed il padre. Talarico gli chiede se conosca qualche impiegato della posta e poi spiega: «Mi deve cambiare questi (riferendosi ai bonifici domiciliati, ndr) senza che le persone veramente ci sono, e gli faccio il regalo. Capito? Ogni cosa che mi cambia gli regalo cento euro. Me ne fa venti, sono duemila euro».

Il ruolo della segretaria

Di truffa in concorso sono indagati anche i 173 braccianti agricoli che volontariamente si facevano assumere con la finalità di maturare l’indennità di disoccupazione agricola. 570 mila euro, secondo i calcoli degli inquirenti, il danno per le casse dell’Inps. Dalle intercettazioni ambientali e telefoniche raccolte durante le indagini, emerge chiaro l’accordo di restituzione delle spettanze ricevute da Alma, in misura parziale o totale. I soldi venivano ridati indietro a Luca Talarico oppure alla sua segretaria, Francesca Intrieri, adesso ai domiciliari, la quale aveva un ruolo centrale nella truffa non solo per essere ella stessa assunta con contratto di somministrazione, ma perché teneva la duplice contabilità delle giornate dichiarate ad Alma e di quelle effettivamente lavorate. Ed anche delle somme, tutte in contanti, che tornavano nella disponibilità del clan. Queste somme confluivano nella bacinella comune del gruppo criminale per essere poi ripartite secondo il progetto originario, tra Talarico, Pasquale Forastefano e i due impiegati dell’agenzia del lavoro interinale Falbo e Antolino.

La complicità dei professionisti

Per portare avanti la sofisticata truffa i Forastefano si sono avvalsi anche della complicità di due professionisti: il commercialista Vincenzo Pesce e l’avvocato Giuseppe Bisantis, entrambi posti ai domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il commercialista entra in scena quando le aziende agricole intestate a Luca Talarico ricevono contestazioni da parte dell’Inps in relazione all’effettivo fabbisogno di manodopera in rapporto ai terreni nella disponibilità delle aziende stesse. Pesce, utilizzando le proprie competenze in materia, fornisce una costante consulenza nel correggere i dati fino a quel momento comunicati all’istituto previdenziale, anche attraverso una relazione tecnica contraffatta recante elementi tali da poter giustificare il numero di giornate lavorative dichiarate.

L’avvocato delle cause perse

L’altro professionista coinvolto nell’inchiesta è l’avvocato Giuseppe Bisantis residente nel salernitano, a Capaccio Paestum, ideatore della strategia legale per sottrarre le aziende agricole riconducibili al gruppo dei Forastefano al pagamento delle fatture emesse da Alma Spa per la somministrazione dei braccianti. Tale strategia consiste nel citare in giudizio l’agenzia di lavoro interinale ed avanzare una richiesta di risarcimento danni per conto di Luca Talarico, pretestuosamente motivata sulla scorta di millantati danni arrecati alle colture dall’incompetenza tecnica degli operai somministrati. La richiesta è esorbitante e pari a 4 milioni e 800 mila euro. Viene poi contestato il numero delle giornate lavorative fatturate: 22.447 quelle calcolate da Alma, appena 3.533 quelle indicate da Bisantis sulla scorta dei dati elaborati dal commercialista e sodale Vincenzo Pesce.

La reiterazione della truffa

Da notare poi che, una volta esaurito il rapporto con Alma, l’identico meccanismo truffaldino era stato innescato a scapito di un’altra agenzia interinale, la Sky Jobs dove Antonio Antolino, nel frattempo licenziato da Alma, aveva trovato un nuovo impiego. Anche contro la Sky Job l’avvocato Bisantis ha avanzato richiesta risarcitoria per un milione di euro mentre, nei fatti, era l’azienda di somministrazione a vantare nei confronti delle attività agricole dei Forastefano, crediti pari a circa 700 mila euro per le prestazioni erogate.

Giornalista
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