Asp di Vibo Valentia: il superbonus, il Covid e le contestazioni della Regione

Centoventimila euro di “compenso aggiuntivo per il raggiungimento degli obiettivi” accantonati a favore di Giuliano, Galletta e Tripodi e sulla cui liquidazione deciderà Longo. Ma come è stata gestita l’azienda durante l'emergenza? Ecco l’atto che ne certifica l’“inadempienza” (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Stefano Mandarano
10 gennaio 2021
12:05

Ci sono 120mila euro accantonati nel bilancio dell’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia a titolo di “compenso aggiuntivo per il raggiungimento degli obiettivi” da parte dei vertici del management aziendale. Il commissario straordinario Giuseppe Giuliano, in procinto di assumere il medesimo incarico all’azienda Mater Domini di Catanzaro, il direttore sanitario Matteo Galletta e il direttore amministrativo Elisabetta Tripodi, prendendo atto di una nota ministeriale, si sono vicendevolmente riconosciuti la possibilità di assicurarsi un superbonus di 40mila euro cadauno. Toccherà ora al commissario ad acta alla Sanità calabrese, Giudo Longo, mettere il sigillo su quegli atti, portati allo scoperto ieri dalle nostre testate, e, in caso di valutazione positiva dell’operato di commissari e direttori, dare il “la” alla liquidazione.

A Longo l'ardua sentenza 

Nella suddetta valutazione rientreranno precisi criteri di valutazione che, in tempi di “pace” sul fronte sanitario, riguarderebbero le performance aziendali, l’efficienza amministrativa, la correttezza formale e sostanziale degli atti emessi a garanzia del diritto della salute e a tutela dei livelli minimi di assistenza. Ma, nei tempi di emergenza pandemica che stiamo vivendo, un giudizio di efficienza sull’operato dei manager che hanno guidato la sanità vibonese negli ultimi mesi, non dovrebbe – e a nostro avviso non può – esimersi da una serena valutazione sulla gestione dello tsunami che ha investito, insieme all’intero pianeta, anche il nostro territorio. Chiamando il sistema sanitario e le sue articolazioni territoriali a farsi carico di una sfida senza precedenti.


Come l’ha affrontata l’Azienda vibonese? Molte e sotto gli occhi di tutti le criticità che hanno caratterizzato un percorso che, al netto dell’encomiabile lavoro svolto dal personale sanitario in prima linea, è sembrato a dir poco accidentato sul piano della programmazione e del coordinamento aziendale.

Credibilità ai minimi storici

Dalle promesse mai realmente mantenute (l’attivazione dei posti aggiuntivi di terapia intensiva a Vibo e la creazione del reparto Covid a Tropea ne sono esempi lampanti) alla gaffe sulla gestione delle donazioni Covid utilizzate per l’acquisto di un ecografo prostatico (vicenda sulla quale ha acceso i riflettori anche la Procura di Vibo), diversi incidenti di percorso hanno minato la credibilità dell’Asp vibonese. A questi si aggiungano la mancata attivazione delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), l’acquisto tardivo delle attrezzature per processare i tamponi e, dunque, l’impossibilità di elaborare i test in autonomia per buona parte della fase emergenziale, dovendo così dirottare i tamponi ad altri laboratori fuori provincia con i conseguenti ritardi nella trasmissione dei dati. E su questo punto – sulla trasparenza e sulla trasmissione dei dati del contagio – si è consumata probabilmente la falla più grave che in parte ha contribuito anche a condizionare le sorti del territorio regionale nella definizione degli scenari di rischio e delle relative limitazioni.

La contestazione di addebito della Regione

Facendo un passo indietro al novembre scorso, alla vigilia del Dpcm che “condannava” per la prima volta la Calabria alla “zona rossa”, il delegato alla Sanità della Regione Calabria Antonio Belcastro e il dirigente di settore Francesca Fratto ammonivano pesantemente l’azienda vibonese con una “contestazione di addebito”. «Nelle recentissime riunioni tenutesi tra il Governo e le Regioni circa la situazione epidemiologica nei diversi territori – si spiegava nell’atto -, è stato rappresentato che la Regione Calabria sarebbe da collocare in uno scenario di tipo 4, atteso che, tra l’altro, non risulterebbero evidenze circa la tenuta sotto controllo dell’epidemia, il contact tracing, la corretta gestione della piattaforma di sorveglianza integrata Covid-19 dell’Istituto superiore di sanità, con un disallineamento tra i dati comunicati giornalmente alla Protezione civile nazionale e quelli effettivamente presenti sulla suddetta piattaforma web. Con nota del 10 settembre del 2020 – si ricordava – era già stata evidenziata a codesta azienda questa inadempienza che, peraltro, rappresenta anche una non ottemperanza a quanto disposto nelle ordinanze del presidente della Regione».

Quindi si passava alle contestazioni vere e proprie, «con ogni riserva di ulteriori azioni». Tra queste «il mancato inserimento dei dati sanitari nella piattaforma nazionale di sorveglianza integrata casi di Coronavirus Covid 19 che, nella settimana 26 ottobre-1 novembre, registra l’inserimento di soli 11 casi su 30 comunicati alla Protezione civile; la mancata trasmissione delle informazioni relative ai contagi negli istituti scolastici; il mancato inserimento dei dati nella piattaforma di monitoring regionale».

Ritardi, inadempienze, inottemperanze. Che, a giudizio della Regione, hanno prodotto effetti nefasti per la definizione dello scenario di rischio calabrese. Quanto basta, insomma, per aggiudicarsi un “premio” da 40mila euro cadauno.

Giornalista
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