La ricostruzione

«Attilio Manca fu ucciso dalla mafia. L’assassino fu “U calabrisi” dei servizi segreti?»

Pubblicata la relazione della Commissione parlamentare antimafia sulla morte dell’urologo siciliano classificata come suicidio. Sullo sfondo le cure al boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, l’ombra dei servizi segreti e di Aiello “faccia di mostro”

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di Consolato Minniti
20 gennaio 2023
13:40
Attilio Manca
Attilio Manca

«Alla luce dei fatti emersi durante l’inchiesta e della rilevata incompatibilità logica e fattuale delle circostanze sopra evidenziate con le ipotesi del suicidio o di una morte per overdose accidentale da volontaria assunzione di eroina, questa Commissione ritiene che la morte di Attilio Manca sia imputabile ad un omicidio di mafia e che l’associazione mafiosa che ne ha preso parte (non è chiaro se nel ruolo di mandante o organizzatrice o esecutrice) sia da individuarsi in quella facente capo alla famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto». Sono conclusioni pesantissime quelle a cui giunge la Commissione parlamentare antimafia in merito all’approfondimento sulle cause che hanno condotto alla morte del dottor Attilio Manca, l’urologo che si ritiene abbia potuto curare il boss Bernardo Provenzano durante la sua latitanza per i problemi alla prostata. Un lavoro certosino quello della commissione, la cui relazione è stata approvata nelle sedute del 7 e del 13 settembre 2022 e che ieri è stata finalmente pubblicata.

Attilio Manca, dunque, non si sarebbe suicidato, come è sembrato in questi anni a seguito delle indagini condotte dalla magistratura, ma sarebbe stato ucciso. Ed il suo sarebbe un omicidio di mafia commesso, secondo alcuni collaboratori di giustizia, da un appartenente ai servizi segreti detto “u calabrisi”.


La precedente relazione

Già nel 2018 la Commissione parlamentare antimafia si era occupata del caso Manca. E le conclusioni non si discostavano molto da quelle della Procura della Repubblica di Viterbo, secondo cui Manca, ritrovato cadavere il 12 febbraio 2004, era morto per una inoculazione volontaria di eroina. Tuttavia, già la relazione del 2018 segnalava come le indagini fossero state «svolte in maniera superficiale – tanto che le istanze degli inquirenti furono oggetto di diversi rigetti e di sollecitazione probatorie da parte del giudice – né si conclusero (…) con un provvedimento articolato contenente una lettura organica e ragionata di tutto il materiale probatorio sì da fugare ogni dubbio». Anche la consulenza medico legale dell’epoca fu ritenuta connotata da «gravi lacune e superficialità». Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sulla vicenda del decesso dell’urologo, la Commissione riteneva «non opportuno né proficuo svolgere (…) accertamenti paralleli e coevi rispetto a quelli dell’autorità giudiziaria», concludendo così come non vi fossero «elementi sufficienti per ribaltare le risultanze raggiunte sino a oggi dall’autorità giudiziaria».

L’archiviazione dell’inchiesta e l’assoluzione della presunta spacciatrice

Il 16 luglio 2018, il gip del Tribunale di Roma accolse la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, anche sulla scorta della sentenza di condanna emessa in primo grado nei confronti di Monica Mileti, la donna ritenuta responsabile di aver ceduto la dose di eroina che si sarebbe rivelata letale per l’urologo. L’accusa era di cessione illecita di sostanze stupefacenti. Il 16 febbraio 2021, tuttavia, la Corte d’Appello di Roma ha assolto la Mileti dalle accuse mosse con la formula «perché il fatto non sussiste», con ciò determinando una inevitabile ripercussione anche sull’impianto motivazionale del provvedimento di archiviazione dell’inchiesta sulla morte di Manca.

Il ritrovamento del cadavere di Manca

L’urologo fu ritrovato senza vita il 12 febbraio 2004, poco prima delle 11, da due colleghi, nel suo appartamento di Viterbo. Era riverso sul letto con i soli piedi fuori dal materasso, nudo dalla vita in giù, con una abbondante fuoriuscita dal naso e dalla bocca di sostanza ematica. Vi erano inoltre macchie ipostatiche declivi e l’assenza di apparenti segni di violenza sul corpo. Nell’abitazione venivano ritrovate anche due siringhe usate, una nel cestino dei rifiuti in cucina e una sul pavimento del bagno. Le siringhe erano chiuse con il tappo salva ago e una delle due presentava persino il tappo salva-stantuffo.

Il viaggio a Roma

Il 10 febbraio Manca decideva di recarsi a Roma, ben prima di contattare per la prima volta Monica Mileti. Gli unici contatti telefonici tra il pranzo con Loredana Mandoloni, infermiera con la quale Manca avrebbe avuto una storia, e la partenza per Roma risultano essere quelli con i genitori e con Salvatore Fugazzotto, mentre le ragioni della partenza per Roma, al fine di noleggiare un film, appaiono «un pretesto e oggettivamente poco verosimili».

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

Quanto ai collaboratori di giustizia, il 4 luglio 2014, il camorrista Giuseppe Setola viene ascoltato dalla Procura della Repubblica di Palermo. Setola narra di essere stato detenuto nel 2007 nel carcere di Cuneo assieme al capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto, Giuseppe Gullotti. Questi gli confida che un oncologo aveva visitato (forse all’estero) Bernardo Provenzano per problemi alla prostata. Poi il medico era stato ucciso con una iniezione letale al braccio sinistro perché aveva visto in faccia Provenzano. Setola, tuttavia, prima di sostenere un interrogatorio davanti alla Procura antimafia, decide di interrompere la collaborazione con la giustizia. Una testimonianza che, al di là della specializzazione medica (urologo e non oncologo) viene ritenuta attendibile.

Carmelo D’Amico, tra i collaboratori ritenuti più credibili nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto, pochi mesi dopo lo scadere del termine dei 180 giorni, riferisce notizie utili sulla morte di Attilio Manca, come narrategli da Antonino Rotolo, esponente di Cosa Nostra palermitana, in un periodo di comune detenzione al carcere di Opera di Milano. D’Amico afferma che Attilio Manca sarebbe stato ucciso dai servizi segreti per coprire la latitanza di Bernardo Provenzano, della cui operazione alla prostata si era interessato il medico siciliano.

«Ho già riferito in altri verbali – spiega D’Amico – che con il passare del tempo io mi ero guadagnato la piena fiducia di Rotolo Antonino, tanto che una volta uscito mi sarei anche dovuto occupare del sostentamento dei suoi familiari. In una circostanza, mentre io e Rotolo ci trovavamo detenuti insieme a Milano Opera in regime di 41 bis, verso la fine del 2013 circa, un telegiornale, forse su Rai 3, trasmise la notizia che Provenzano e Angelo Porcino, erano imputati per la morte di Attilio Manca. (...) io iniziai a commentarla con Rotolo Antonino. In particolare, io gli riferii che per me quella notizia, ossia il coinvolgimento di Provenzano ad Angelo Porcino non c’entrava niente. (...) Quando io dissi quelle cose a Rotolo sul coinvolgimento di Provenzano e Angelo Porcino nella morte di Attilio Manca, e cioè che si trattava di una “cazzata”, io già sapevo qualcosa di quella storia, infatti ne avevo parlato fuori quando mi trovavo a Barcellona ed ero ancora libero. Attilio Manca fu ucciso nel 2004, se non sbaglio, ed io ed i miei associati commentammo quella morte e già in quel periodo sostenevamo come Porcino non c’entrasse niente in quella storia. In quel periodo fu lo stesso Porcino Angelo a dirmi che lui non c’entrava niente con la morte di Attilio Manca. Per questo motivo, quando sentii quella notizia al telegiornale, dissi al Rotolo che Attilio Manca era morto per overdose, come del resto si diceva anche nei giornali. Quando io disse quelle cose al Rotolo, costui mi rispose: “vedi che ti sbagli, i tuoi paesani di Barcellona non c’entrano effettivamente, ma a Manca lo ammazzarono davvero”. (...) In quella stessa circostanza Rotolo mi disse che Attilio Manca si era interessato per l’intervento chirurgico che Provenzano aveva subito; il Rotolo non mi specificò in quale località della Francia si svolse quell’operazione chirurgica. Voglio precisare che Rotolo Antonino mi disse espressamente che Attilio Manca “si era interessato” per quell’operazione chirurgica nei confronti di Provenzano, mentre non mi specificò se fosse stato il Manca ad operare Provenzano. Nino Rotolo, sempre in quella circostanza, mi disse espressamente che non era stata “Cosa Nostra” a rivolgersi al Manca ma erano stati invece i servizi segreti. (...) mi disse espressamente che i servizi segreti, dopo essersi rivolti al Manca per quella operazione, lo avevano eliminato simulando un omicidio o comunque un’overdose di eroina. Sempre per quello che mi riferì il Rotolo, i servizi segreti, dopo essersi rivolti al Manca per quella operazione, non si fidavano del Manca stesso e per questo lo uccisero. Il motivo per cui in definitiva il Manca fu eliminato era che costui aveva in qualche modo visto in faccia Provenzano, soggetto quest’ultimo che non era stato più visto in faccia da almeno quarant’anni e dunque per quel motivo Manca morì. (...) Rotolo mi disse che la fonte delle sue conoscenze sull’omicidio di Manca era lo stesso Provenzano. (...) Quando Rotolo mi disse che erano stati i servizi segreti ad eliminare Attilio Manca, voglio specificare che costui mi disse che i servizi segreti agirono in quel modo perché in quel periodo la latitanza di Provenzano era protetta dagli stessi servizi segreti e dal ROS. Dunque i servizi agirono in quel modo per fare un favore a Provenzano e per proteggerlo. (...) Un’altra circostanza che mi riferì Rotolo Antonino in quell’occasione fu che di questa vicenda, ossia della morte di Attilio Manca, sono a conoscenza tutti i più importanti collaboratori di giustizia, i quali però, sempre per come mi riferì il Rotolo, hanno deciso di non rilevare nulla dal momento che sono ben consapevoli del fatto che verrebbero altrimenti eliminati o “distrutti”, nel senso che verrebbe attaccata la loro credibilità».

Dichiarazioni poi completate con riferimento ulteriore ai servizi segreti: «Poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti. (...) Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché “aveva fatto ammazzare” Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della “Corda fratres”, aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto. Rugolo non mi specificò se l’urologo Manca era già stato individuato come medico che doveva curare il Provenzano ed il compito del Cattafi era soltanto quello di entrare in contatto con il Manca, o se invece fu lo stesso Cattafi che scelse ed individuò il Manca come medico in grado di curare il Provenzano. Rugolo Salvatore ce l’aveva a morte con Cattafi perché', proprio alla luce di quel compito da lui svolto, lo riteneva responsabile della morte di Ugo Manca che riteneva sicuramente essere un omicidio e non certo un caso di overdose. Rugolo non mi disse espressa- mente che Cattafi aveva partecipato all’omicidio di Manca ma lo riteneva responsabile della sua morte per i motivi che ho sopra detto. (...)

Successivamente ho parlato di queste vicende quando sono stato detenuto presso il carcere di Milano Opera in regime di 41bis O.P. insieme a Rotolo Antonino. Rotolo Antonino mi confidò che erano stati i “Servizi segreti” ad individuare Attilio Manca come il medico che avrebbe dovuto curare il latitante Provenzano. Rotolo non mi disse chi fosse questo soggetto appartenente ai servizi ma io capii che si trattava della stessa persona indicatami dal Rugolo, ossia quel Generale dei Carabinieri che ho prima indicato; sicuramente era un soggetto delle istituzioni. (...) [Rotolo Antonino] mi disse che Attilio Manca era stato eliminato proprio perché aveva curato Provenzano e che ad uccidere quel medico erano stati i servizi segreti. In quella circostanza Rotolo mi aggiunse che di quell’omicidio si era occupato, in particolare, un soggetto che egli definì “u calabrisi”; costui, per come mi disse Rotolo, era un militare appartenente ai servizi segreti, effettivamente di origine calabrese, che era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi. Rotolo Antonino mi fece anche un altro nome coinvolto nell’omicidio di Attilio Manca, in particolare mi parlò del “Direttore del SISDE”, che egli chiamava “U Diretturi”. Rotolo non mi disse come era stato ammazzato Manca, né mi fece il nome e cognome del “calabrese” e del “Direttore del SISDE”, né io glielo chiesi espressamente. In questo momento mi sono ricordato che Rotolo, se non ricordo male, indicava il calabrese come “U Bruttu”, ma non so dire il motivo, e che era “un curnutu”, nel senso che era molto bravo a commettere questo tipo di omicidi». La difesa della famiglia Manca, nell’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Roma nel procedimento aperto per la morte di Attilio Manca e richiamata dalla commissione nella relazione, identifica tale possibile personaggio nell’ex poliziotti Giovanni Aiello, conosciuto anche come “faccia di mostro”. Sul punto, la commissione ritiene utile la comparazione delle impronte digitali di Aiello (deceduto qualche tempo fa in modo improvviso) con quelle rinvenute in casa di Attilio Manca e che, ancora oggi, non sono state ricondotte ad alcuno.

La sentenza reggina su Rosario Cattafi

Nella relazione, sempre con riferimento a D’Amico, viene anche citato il contenuto delle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria che ha condannato Rosario Cattafi per il reato di associazione mafiosa: «D’Amico stesso non ha timore alcuno di rappresentare che, dopo essersi addossato decine di omicidi, ha avuto paura, all’inizio della sua collaborazione, essendo ancora “un principiante”, di riferire anche sul caso Manca, in relazione al quale, come visto, la vicenda era certamente più complessa e pericolosa, con l’intervento dei servizi deviati e di personaggi, del calibro di Bernardo Provenzano, senza mancare di rilevare che, dopo, una volta preso coraggio e fiducia, si è tolto anche questo peso dalla coscienza, con dichiarazioni del tutto comprensibili e congruenti, alla luce dei fatti assunti».

Rilevano, poi, le dichiarazioni del collaboratore Nunziato Siracusa, il quale afferma, sentito dalla Procura di Roma, di non aver mai conosciuto Attilio Manca, ma di averne sentito parlare intorno al 2007 nel carcere di Messina da Angelo Porcino che con lui si trovava detenuto. Porcino gli aveva confidato di essersi recato con un suo parente per una visita urologica da Attilio Manca e collegava a tale accadimento il suo coinvolgimento in quell’indagine a Viterbo, aggiungendo di non sapere nulla della vicenda. Secondo la commissione «il contributo dichiarativo reso da Nunziato Siracusa è tale da fornire un importante elemento di riscontro alle dichiarazioni dei genitori del medico, i quali avevano riferito come il figlio, pochi giorni prima di morire, il figlio li aveva chiamati per chiedere loro notizie su tale Angelo Porcino, che di lì a poco lo avrebbe raggiunto a Viterbo per una visita, come preannunciatogli dal cugino Ugo Manca.

Anche il collaboratore Biagio Grasso riferisce come, in un’occasione, andò insieme ad Antonino Merlino (condannato con sentenza passata in giudicato per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano) per incontrare il boss Angelo Porcino, che li aveva trattati in modo insolitamente brusco e sbrigativo. Preoccupato, Porcino chiese spiegazioni a Merlino il quale lo tranquillizzò dicendogli che Porcino era preoccupato perché aveva una questione da sistemare con un medico di nome Attilio Manca.

L’incrocio con Bernardo Provenzano e i dubbi della commissione

Dall’analisi del fascicolo del procedimento n. 3779/2003, cosiddetto “Grande Mandamento”, la commissione trae alcuni dati riguardanti la trasferta francese resasi necessaria per le cure mediche di Bernardo Provenzano, che aveva necessità di un intervento chirurgico alla prostata. Uno dei fermati nell’inchiesta, decise di collaborare con la giustizia e consentì di accertare come Provenzano, nel 2003, era stato sottoposto a cure mediche in Francia. Il 2 luglio 2003 era stato visitato dall’urologo Philippe Barnaud, dal 7 all’11 luglio 2003, era stato ricoverato e sottoposto ad una biopsia presso la clinica «La Licorne», sita a La Ciotat, mentre dal 22 ottobre al 4 novembre 2003 era stato ricoverato nuovamente, questa volta presso la clinica «La Casamance», nella città di Aubagne, dove era stato sottoposto ad un intervento chirurgico di prostatectomia ad opera sempre del dott. Barnaud, previa scintigrafia eseguita il precedente 3 ottobre. In tali occasioni Provenzano aveva utilizzato un documento di identità, opportunamente falsificato, a nome di Gaspare Troia, soggetto realmente esistente, padre di Salvatore Troia, anch’egli fermato il 25 gennaio 2005 per il reato di associazione mafiosa.

Gli accertamenti compiuti dalla commissione antimafia portano la stessa a ritenere «ipotesi assai verosimile quella per la quale la morte di Attilio Manca sia legata a probabili contatti da questi avuti con Bernardo Provenzano. Non è stato possibile, però, determinare il momento esatto in cui le vite del medico e del latitante si siano incrociate».

Sono diversi gli interrogativi posti dalla commissione: «Per quale motivo fu scelto proprio il dottor Philippe Barnaud e le due cliniche La Licorne e La Casamance? In che modo venne comunicato a Provenzano il risultato della biopsia alla prostata? L’intervento alla prostata, a seguito della biopsia, doveva essere eseguito subito – come ha dichiarato il dott. Barnaud – o poteva essere svolto anche al termine dell’estate – come ha dichiarato invece Madeleine Orlando? Madeleine Orlando ha saputo dell’arrivo del falso Gaspare Troia il giorno prima o ne era già informata avendo provveduto alla prenotazione della visita chiamando il centralino, come riferito dal dott. Barnaud? Ed ancora: è verosimile che un latitante dell’importanza di Provenzano abbia scelto casualmente il chirurgo e la clinica dove operarsi e che abbia preso il relativo appuntamento tramite un centralino? Sono da considerarsi credibili le spiegazioni offerte dal dott. Barnaud sui motivi per cui classificò come «urgente» una biopsia che il paziente incensurato da lui conosciuto con il nome di Troia avrebbe potuto fare qualche giorno dopo in Italia? Se Provenzano aveva già scelto – per motivi allo stato ignoti – il Barnaud come chirurgo per l’operazione, perché scelse di rischiare un secondo viaggio in Francia invece di aspettare il risultato della biopsia (come poi fece, invece, per il risultato della scintigrafia)? E dove alloggiò nei diciannove giorni trascorsi tra l’effettuazione della scintigrafia e il ricovero o nei diciassette giorni trascorsi tra la dimissione dall’ospedale e il ritorno in Italia? Come mai Provenzano ritenne di utilizzare il modello E-111 per farsi rimborsare quelle poche migliaia di euro servite per gli esami e l’operazione, con tutti i rischi che la procedura per richiederlo, effettuata per ben due volte, avrebbe comportato (rischi poi rivelatisi concreti, visto che gli inquirenti utilizzarono anche quei modelli per ricostruire la trasferta francese del latitante)? Ma, soprattutto, viste le dichiarazioni del dott. Barnaud sulla necessità di una visita di controllo a distanza di tre mesi dalla dimissione dall’ospedale (tre mesi che scadevano proprio quel febbraio in cui trovò la morte Attilio Manca), quale fu il medico che effettuò quella visita? E quale medico prescrisse a Provenzano la terapia con il Decapeptyl 11,25 nei primi mesi post-operatori?».

Le ipotesi della commissione sul contatto con Provenzano

Secondo i membri della commissione antimafia «nonostante i media abbiano rilanciato, come ipotetico momento di contatto tra Attilio Manca e Bernardo Provenzano, l’operazione chirurgica avvenuta in Francia, le ipotesi non si esauriscono certamente con l’intervento di prostatectomia. Il medico avrebbe potuto, su richiesta della famiglia mafiosa barcellonese, provvedere all’individuazione del chirurgo francese (avendo egli studiato e lavorato in Francia per diverso tempo); potrebbe essere stato il medico scelto inizialmente dal latitante per eseguire l' intervento e ciò giustificherebbe il rientro di Provenzano in Italia a seguito della biopsia; potrebbe essere stato il medico a cui si rivolsero esponenti e referenti dell’articolazione barcellonese di Cosa Nostra per effettuare la visita di controllo a tre mesi dall’intervento; potrebbe essere stato, infine, il medico che, nella situazione d’urgenza in cui venne a trovarsi il boss mafioso, descritta dal collaborante Stefano Lo Verso, ebbe a prestargli le cure d’emergenza. È evidente, pertanto, che il fatto per cui il nome e/o la presenza di Attilio Manca non siano emersi dalle indagini condotte dall’autorità giudiziaria di Palermo sulla trasferta francese di Bernardo Provenzano non solo non è dirimente, ma risulta insufficiente per affermare che il medico e il latitante non ebbero mai contatti».

Le conclusioni e l’ipotesi omicidio

A giudizio della commissione antimafia, dunque, quello di Attilio Manca fu un omicidio di mafia. A tale conclusione si giunge dall’analisi di alcuni elementi messi in fila dai parlamentari: «La copiosa quantità di sangue trovata sulla scena del delitto; i segni delle punture di eroina rinvenute nel braccio sinistro, incompatibili con il mancinismo puro del Manca e con la sua pessima abilità con la mano destra; le siringhe trovate perfettamente chiuse, con il tappo di protezione; l’assenza di propositi suicidari in capo al Manca; l’assenza di materiale per la preparazione dell’eroina e del laccio emostatico per l’iniezione endovena; l’assenza di pantaloni e di biancheria intima sul corpo della vittima nonostante il mese invernale; la totale assenza di impronte su una delle siringhe usate per iniettare l’eroina e il microscopico frammento, non utilizzabile per comparazioni dattiloscopiche, ritrovato sulla seconda; l’insistenza di Ugo Manca nell’entrare nell’appartamento del cugino Attilio posto sotto sequestro, comportamento che fece nascere ai familiari della vittima i primi dubbi su un suo possibile coinvolgimento nella vicenda; la presenza dell’impronta di Ugo Manca su una piastrella del bagno e la contemporanea assenza di impronte di altri soggetti, amici e parenti, che anche di recente (e certamente dopo la visita di Ugo Manca) erano stati nell’abitazione dell’urologo; la convinta esclusione, da parte di tutti i colleghi, superiori e amici romani e viterbesi di Attilio Manca, della possibilità che il giovane medico facesse uso di droghe».

Insomma, tali elementi «se presi singolarmente» potrebbero anche trovare spiegazioni diverse da quelle prospettate, ma se presi nel loro insieme «appare incongruo giungere ad una conclusione diversa da quella secondo cui Attilio Manca sia stato ucciso, unica ipotesi ragionevole e priva di contraddizioni con i dati obiettivi delle modalità della morte del Manca, le informazioni fornite dai collaboratori di giustizia, gli elementi raccolti sui contatti fra la latitanza di Provenzano e il territorio di Barcellona Pozzo di Gotto e della provincia di Messina e, infine, le considerevoli opacità su aspetti rilevantissimi riguardanti le cure sanitarie in favore del latitante corleonese». Tutto ciò, per la commissione, porta a dire che Attilio Manca fu ucciso. E quello fu un omicidio di mafia, secondo i pentiti, commesso da un uomo dei servizi chiamato “u calabrisi”.

Giornalista
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