Autobomba di Limbadi, i genitori di Matteo Vinci in aula: «Continuano a tormentarci, non abbiamo pace»

VIDEO | Il racconto di anni di violenze e soprusi nella deposizione in Corte d’Assise di Sara Scarpulla e Francesco Vinci. Il figlio perse la vita il 9 aprile 2018. Sul banco degli imputati i Di Grillo-Mancuso (ASCOLTA L'AUDIO)

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di G. B.
29 gennaio 2021
08:35
Sara Scarpulla e Francesco Vinci - foto d’archivio
Sara Scarpulla e Francesco Vinci - foto d’archivio

Oltre tre ore di deposizione ieri dinanzi alla Corte d’Assise di Catanzaro, presieduta dal giudice Alessandro Bravin, per Rosaria Scarpulla e Francesco Vinci, i genitori del biologo Matteo Vinci saltato in aria a Limbadi con un’autobomba il 9 aprile del 2018. Sul banco degli imputati ci sono: Rosaria Mancuso, 64 anni, il marito Domenico Di Grillo, 72 anni, Lucia Di Grillo, 30 anni (figlia dei primi due) ed il marito Vito Barbara, 28 anni, Rosina Di Grillo, 38 anni (sorella di Lucia), tutti di Limbadi. Contestato l’omicidio aggravato dalle modalità mafiose di Matteo Vinci ed il tentato omicidio del padre Francesco Vinci, nell’occasione  rimasto gravemente ferito a seguito dello scoppio di un’autobomba. Contestazioni anche per il tentato omicidio del solo Francesco Vinci (pestato brutalmente nell’ottobre 2017) e la detenzione di diverse armi da fuoco. In particolare, Vito Barbara, la moglie Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso sono accusati di omicidio aggravato dai motivi abietti e futili, oltre che dalle modalità mafiose. Sarebbero stati loro gli ideatori ed i promotori del delitto al fine di costringere Francesco Vinci e la moglie Rosaria Scarpulla a cedere alle loro pretese estorsive.

Rispondendo alle domande del pm, Rosaria Scarpulla ha spiegato  in aula che il marito Francesco Vinci aveva ereditato dal padre e dal nonno diversi terreni in località Macrea di Limbadi. «Ricordo che già dagli anni ’80 – ha riferito in aula Sara Scarpulla – i nostri vicini nei terreni erano i Mancuso, in particolare Francesco Mancuso», ovvero il patriarca (cl. ’29) e fondatore dell’omonimo clan deceduto nel 1997. «Inizialmente nessun problema, sin quando a gestire i terreni non è stato Pantaleone Gerace, che ha iniziato a gestire pure quelli di Gaetana Vinci, cugina di mio marito Francesco. Da lì ho iniziato a vedere Rosaria Mancuso sui terreni insieme al figlio Sabatino Di Grillo ed alla figlia Rosina Di Grillo. Dissi a mio marito di vendere i terreni, visto che Gerace era stato ormai messo da parte. I miei timori per una situazione che non sarebbe andata a finire bene sono iniziati quando Rosaria Mancuso ha cominciato a liberare le pecore dicendo che quei terreni non erano nostri». Quindi il racconto delle angherie e dei soprusi di ogni tipo da parte dei Di Grillo-Mancuso. «Ci hanno ucciso i cagnolini – ha ricordato in aula la Scarpulla – mentre su alcuni muretti trovavo cartucce di fucile e proiettili di pistola ed iniziavano gli sversamenti di liquami sui nostri terreni. Sapevo che era la Mancuso e le figlie, mentre Sabatino Di Grillo insieme al padre Domenico Di Grillo con il trattore ci rompeva le recinzioni. Ma ogni volta che, a seguito di tali episodi, mi recavo adirata nella loro masseria, Rosaria Mancuso negava e si dimostrava docile come un agnellino al mio cospetto. Ci hanno poi rubato le capre, mentre Salvatore Mancuso, detto Lo Zoppo, ci invitava a vendere a sua sorella Rosaria. Domenico Di Grillo ci ripeteva invece che il terreno se lo sarebbero presi loro, anche perché al Comune di Limbadi, così come dai carabinieri, nessuno ci dava all’epoca retta. Ad oggi noi lì non possiamo più viverenon abbiamo pace e Rosina Di Grillo sino a ieri ha continuato a tormentarci».


Rosaria Scarpulla è passata così a raccontare il cambio di avvocati, che la seguivano in alcune cause di usucapione dei terreni e per altre denunce sui soprusi, con uno dei legali che avrebbe rimesso il mandato appena intuito che vi era l’interesse dei Mancuso su quei terreni. «Sono arrivati persino a metterci nella cassetta della posta la loro biancheria».

L’aggressione del 2014

Si arriva così al raid punitivo nei confronti di Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla organizzato dai Di Grillo-Mancuso. «Erano in sei contro mio marito – ha ricordato in aula Sara Scarpulla – e lo tenevano fermo spingendolo contro il muro e pestandolo. Poi è arrivato anche Salvatore Mancuso ed ho sentito mio marito urlare invitandomi a scappare per chiamare Matteo. Sono riuscita a telefonare a mia cognata il quale ha avvertito mio figlio e sul posto sono arrivati i carabinieri. Ma nel frattempo mi hanno aggredita e solo afferrando io dai capelli Rosina Di Grillo e Lucia Di Grillo e facendomi “scudo” attraverso loro, ho evitato che Rosaria Mancuso mi uccidesse. Sono svenuta ed al mio risveglio ci siamo ritrovati tutti arrestati, compreso Matteo». Per tale vicenda è quindi seguito un processo dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia che ha registrato la totale assoluzione dei Vinci-Scarpulla e la condanna dei Mancuso-Di Grillo per la vile aggressione.

L’escalation di violenze mai fermata

Le vessazioni nei confronti dei coniugi Vinci, dopo l’aggressione del 2014, sono però aumentate (danneggiamento dell’auto e ancora rittura dei paletti di recinzione dei terreni) e neanche rivolgendosi all’allora sindaco di Limbadi, Francesco Crudo, Sara Scarpulla e Francesco Vinci sono riusciti ad evitare gli sversamenti di liquami nei loro terreni.

Il tentato omicidio del 2017

Si arriva così al 2017 quando Giuseppe Vinci, nipote di Francesco, bussa alla porta dell’abitazione degli zii invitando Sara Scarpulla a portarsi subito sui loro terreni. Agghiacciante la scena che si presenta dinanzi ai loro occhi. «Abbiamo trovato mio marito Francesco – ha ricordato la Scarpulla – tutto sporco e sanguinante, con i vestiti strappati e pieno di ferite. Era stato aggredito da Vito Barbara con un’ascia, da Domenico Di Grillo che impugnava una pistola e Rosaria Mancuso che aveva in mano un tridente e incitava il marito e il genero ad uccidere mio marito». A far visita ai terreni in un’occasione si sarebbe recato anche il boss Diego Mancuso, fratello di Rosaria, con le mani in tasca e pronto con il solo sguardo ad intimorire Francesco Vinci.

L'autobomba e la morte di Matteo

È il 9 aprile del 2018 e nel primissimo pomeriggio Francesco Vinci si reca con il figlio Matteo nei loro terreni per dare da mangiare agli animali. Dopo circa trenta minuti è però la cognata Pasqualina Corso a telefonare a Sara Scarpulla: «“Sara corri, è scoppiata la macchina”. Mi sono precipitata sul posto – ha spiegato la Scarpulla – e ho trovato una colonna di fumo nero, i carabinieri non mi facevano avvicinare. Matteo non c’era più, mentre mio marito era a terra ferito e bruciato».

Le visite dei Mancuso per le condoglianze

Dopo la tragica fine di Matteo Vinci, a recarsi a casa di Sara Scarpulla per porgere le condoglianze si reca Silvana Mancuso, figlia di Giovanni Mancuso (cl. ’41) la quale si sarebbe dissociata dall’accaduto spiegando che se ne fossero stati a conoscenza non avrebbero “mai permesso una cosa del genere”. Silvana Mancuso avrebbe anche riferito che era intenzione dello zio Luigi Mancuso recarsi pure lui a porgere le condoglianze. Così avvenne, con Luigi Mancuso che «si è detto dispiaciuto – ha ricordato Sara Scarpulla – per la morte di Matteo sottolineando però che i Mancuso nulla avevano a che fare con l’autobomba, dissociandosi dagli altri nipoti e spiegando di essere stato per quasi 20 anni in galera senza ricevere alcuna visita da tali parenti». Pronto allora l’invito di Sara Scarpulla rivolto a Luigi Mancuso: “Verrai alla fiaccolata per Matteo?”, ma perentoria la risposta del boss: Verrei pure, ma non voglio dare adito ai giornalisti con la mia presenza, alla fiaccolata verrà però tutta la mia famiglia”. Circostanza vera, perché i carabinieri hanno registrato alla fiaccolata organizzata per ricordare Matteo anche le presenze della moglie di Luigi Mancuso così come della moglie di Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”.

Rispondendo alle domande dell’avvocato Francesco Capria, Rosaria Scarpulla ha quindi riferito di essere stata amica da ragazza della moglie di Lugi Mancuso ma non di averla più frequentata dopo il matrimonio, così come di aver acquistato degli abiti da sposa per due sue nipoti nel negozio di Silvana Mancuso.  Rispondendo poi alle domande dell’avvocato Giovanni Vecchio, Rosaria Scarpulla ha spiegato di aver conosciuti i «fratelli Francesco, Giovanni, Pantaleone, Cosmo e Domenico Mancuso, ma di non averli mai frequentati. Mi salutavo con le loro sorelle, specialmente con Romana Mancuso», quest’ultima poi vittima di un tentato omicidio insieme al figlio, Giovanni Rizzo, per il quale pende il processo d’appello nei confronti di Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere” ed il figlio Giuseppe.

La deposizione di Francesco Vinci

Ancora più toccante e per alcuni versi “drammatica” la testimonianza di Francesco Vinci, più volte però richiamato dal presidente per ricondurlo a toni più rispettosi nei confronti degli avvocati e al fine di ottenere risposte pertinenti alle domande. Fra le lacrime e con la voce rotta dall’emozione, Francesco Vinci ha ripercorso tutte le aggressioni subite dai Mancuso-Di Grillo e la giornata dell’autobomba che l’ha visto salvarsi per miracolo riuscendo ad uscire dallo sportello dopo l’esplosione. «Quel giorno – ha ricordato Vinci rispondendo alle domande dell’accusa e della difesa – siamo andati con mio figlio Matteo sui nostri terreni per fare dei piccoli lavori di pulizia. Abbiamo richiuso il cancello alle spalle e percorso con la Ford Fiesta un cinquanta metri quando l’auto è saltata in aria. Mi hanno salvato mia cognata e poi le cure dei medici di Palermo. Sono stati i Mancuso. Della loro famiglia li conosco tutti perché facevo il carrozziere ed erano miei clienti ma non li ho mai frequentati.

Quando nel pomeriggio del 9 aprile 2018 mi sono recato nei terreni di campagna con Matteo abbiamo parcheggiato l’auto vicine a delle casette. Non poteva entrare nessuno lì, perché era tutto recintato”. Rispondendo alle domande degli avvocati Vecchio e Capèria, Francesco Vinci ha infine ricordato di aver subito in passato tre condanne per la detenzione illegale di armi, ma di non aver mai lavorato nell’esercito. “Ci hanno distrutto la vita – ha concluso Vinci – perché i Di Grillo-Mancuso sono dei vigliacchi e delle persone cattive e spietate, ma quella terra è mia, mi sono cresciuto lì e non la cederò mai». Prossima udienza il 23 marzo per l’esame degli imputati.

Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Francesco Capria e Antonino Carmelo Naso per Domenico Di Grillo; Francesco Capria per Rosaria Mancuso; Giovanni Vecchio e Fabrizio Costarella per Vito Barbara e Lucia Di Grillo; Antonino Carmelo Naso per Rosina Di Grillo. 

Giornalista
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