La 'ndrangheta infiltrata nel bagarinaggio della Juve, condanne definitive

La Cassazione ha certificato come i clan di Rosarno Pesce e Bellocco avessero il monopolio delle vendita illegale dei biglietti nella curva dello stadio di Torino. La difesa annuncia la richiesta di revisione del processo

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di Redazione
19 aprile 2019
11:31

Il bagarinaggio dei biglietti della curva della Juventus era in mano alle cosche Pesce e Bellocco. Questo è quanto ha certificato, in via definitiva, la Corte di Cassazione nella sentenza emessa nella tarda serata di ieri. Alla sbarra, tra gli altri, ci sono il 42enne Rocco Dominello, il rosarnese leader di una sezione dei "Drughi", gruppo ultras della tifoseria bianconera, e suo padre Saverio. I due sono stati condannati in via definitiva anche per associazione mafiosa anche se la pena definitiva dovrà essere stabilita da un nuovo passaggio in Corte d’appello.

Il processo appena concluso nasce da un’inchiesta della Procura antimafia di Torino denominata "Alto Piemonte", che ha certificato, tra l’altro, l’infiltrazione della 'ndrangheta nella curva sud della Juventus e il monopolio del bagarinaggio. Un’inchiesta che è costata l’interdizione sportiva al presidente bianconero Andrea Agnelli.


 

«La Procura antimafia – ha dichiarato l’avvocato Domenico Putrino, legale dei due rosarnesi - contestava, per noi erroneamente, a Rocco Dominello e a suo padre Saverio di essere i rappresentanti delle cosche Pesce e Bellocco nella curva della Juve e di avere il monopolio dei biglietti. È una sentenza e per questo va rispettata, però, è anche vero che era stato escusso nel processo il presidente Agnelli che aveva escluso in modo categorico interferenze della ‘ndrangheta, e soprattutto di Rocco Dominello, nella gestione dei biglietti in rappresentanza di famiglie mafiose».

 

La difesa, quindi, nonostante la sentenza sia diventata definitiva, non si dà per vinta.«Sul punto abbiamo già preannunciato alla Procura generale e al Tribunale di Torino che andremo a presentare una istanza di revisione del processo – ha aggiunto il penalista di Palmi - con nuovi elementi anche alla luce della riapertura delle indagini sul “suicidio” di Bucci».

 

Per l’avvocato Putrino, quindi, la riapertura del caso sul suicidio di Raffaello Bucci, ex componente dei Drughi della Curva Sud e collaboratore dello staff dirigenziale bianconero, potrebbe offrire nuovi spunti per riaprire il processo. Intanto, la Cassazione ha annullato per i Dominello l’accusa su un tentato omicidio e questo potrebbe portare a una rapida scarcerazione dei rosarnesi.

«La Corte – ha concluso l’avvocato Putrino – ha annullato in riferimento al tentato omicidio che veniva contestato a Rocco e Saverio Dominello. I giudici hanno accolto la nostra posizione riqualificando il reato in lesioni, perché come ha dichiarato Saverio Dominello si sarebbe difeso dall’aggressione di più persone. Per questo motivo la pena definitiva per l’associazione mafiosa non è stata quantificata. Ciò avverrà in un nuovo processo di appello. Certamente, i signori Dominello se non ci saranno problemi, la prossima settimana dovrebbero essere ai domiciliari».

 

Gli altri calabresi coinvolti sono Diego Raso, difeso dall’avvocato Mario Santambrogio, condannato in appello a 14 anni e due mesi, Giovanni Raso condannato a 6 anni e mezzo in secondo grado e Erico Raso, 8 e otto mesi. Per tutti e tre la Cassazione ha annullato con rinvio in merito alla quantificazione della pena considerata eccessiva. Anche per loro, come per i Dominello, sarà necessario un nuovo passaggio in Corte d’appello. Definitiva invece le condanne Antonio Agresta sono stati inferti 2 anni, Cosimo Di Mauro, collaboratore di giustizia e cognato dei Raso, 4 anni e quattro mesi; Giuseppe Sgrò condannato a 7 anni, con uno sconto di pena di un anno. Antonio Micolo, condannato a 13 anni e due mesi. Annullata invece la condanna di Fabio Germani, ex capo ultrà, che in primo grado era stato assolto, poi condannato a 4anni e cinque mesi di reclusione, perché accusato di avere aiutato Rocco Dominello, ma nuovamente assolto in Cassazione.

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