Bimba abusata dallo zio ma il politico-santone Ripepi dissuase i genitori: «Non denunciate»

Il consigliere comunale di Reggio Calabria, a capo di una comunità religiosa, avrebbe consigliato alla coppia di tacere e non denunciare gli abusi dopo averla convinta anche a mandare la piccola in casa con lo zio già condannato per i medesimi reati (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Redazione
6 dicembre 2020
11:30

Una bambina abusata dallo zio, già condannato per reati sessuali. Due genitori che non trovano la forza di reagire. In mezzo, i consigli di un leader religioso e politico che risponde al nome di Massimo Ripepi, il consigliere comunale di Reggio Calabria e uomo forte di Fratelli d’Italia nella città dello Stretto, il quale, di fronte alla richiesta di sostegno della una coppia, risponde alla madre che portare la vicenda a conoscenza delle autorità avrebbe potuto provocare «il suicidio dell’uomo, del cui sangue sarebbe stata responsabile davanti a Dio».

È questo il racconto che i genitori hanno invece fatto alle autorità concernente una vicenda che viene fuori da un documento del Tribunale per i minori di Reggio Calabria e riguarda l’affidamento urgente di una bambina di 9 anni ai servizi sociali. A firmare il decreto è il giudice Paolo Ramondino che, nel documento, ripercorre tutta la vicenda che vede drammatica protagonista la piccola. La ragazzina sarebbe stata abusata dallo zio. L’uomo, come emerge dai documenti, è stato poi arrestato per violenza sessuale.

I fatti emergono verso la metà del 2020, ma Massimo Ripepi – nei confronti del quale non sono mosse accuse di alcun tipo – ne sarebbe stato a conoscenza già a partire dal 2018, proprio grazie al racconto dei genitori della piccola, appartenenti alla comunità guidata da “papà Massimo”. È questo ciò che emerge dal decreto del giudice.


I problemi familiari e l’affido

La coppia di genitori ha dei problemi molto seri e non può occuparsi della piccola. Da qui la scelta della coppia di rivolgersi al pastore della comunità di cui fanno parte. Il pastore è Massimo Ripepi. La richiesta è chiara: che una delle famiglie di quella che si ritiene essere una comunità unita possa accogliere temporaneamente la figlia in casa.

Ripepi – secondo quanto riportato nel provvedimento – spiazza tutti. Ecco cosa scrive il giudice: «Ripepi, escludendo che vi fosse nella comunità religiosa qualche famiglia in grado di venire in aiuto ai “fratelli”, invitava questi ultimi a rivolgersi alla nonna materna e ciò malgrado tutti fossero a conoscenza del fatto che quest’ultima vivesse con il figlio (omissis), in passato (circa vent’anni addietro), condannato con sentenza definitiva alla pena di otto anni di reclusione per violenza sessuale su minori».



La scoperta degli abusi

I due genitori sono quasi increduli, ma il forte carisma del pastore alla fine vince sulle resistenze. La bambina viene affidata alla nonna, con la raccomandazione di «non lasciarla mai sola, né di giorno, né di notte, con lo zio». I timori, però, ben presto divengono realtà.

Quella bambina, sola ed indifesa, viene presa di mira da quell’uomo già noto alla giustizia per la violenza sessuale su minori. Il dramma si consuma fra le mura di quella casa che avrebbe dovuto accudire la piccola in assenza dei genitori. A scoprire ciò che in fondo si temeva è proprio la madre, che raccoglie lo sfogo della bambina, restia a spogliarsi per fare il bagno. È in quei momenti che emergono i particolari degli abusi.


Il nuovo intervento di “papà Massimo”

Dalle carte emerge come i genitori, appurato quanto successo, si sarebbero nuovamente rivolti a Ripepi, per consultarsi con lui. Questi, però, piuttosto che indirizzarli immediatamente nel più vicino posto di polizia a denunciare, li avrebbe dissuasi, invitando a «curare l’anima della persona che aveva abusato della bambina, per salvarla e conoscere la gloria di Dio».

Per Ripepi, stando al racconto della coppia poi andata via dalla comunità, il problema sarebbe stato uno: quell’uomo era «posseduto dal demone». Ripepi avrebbe anche rassicurato circa il fatto che avrebbe provveduto lui stesso a «curare l’anima» dello zio. Invitando però a non denunciare per il rischio di un suicidio, ammonendo la mamma della piccola che «di quel sangue sarebbe stata responsabile davanti a Dio».

I genitori accolgono i consigli del pastore e rimangono in silenzio, anche nel momento in cui la vicenda della piccola diventa di dominio pubblico all’interno della comunità, considerato che lei stessa si confida con alcuni coetanei. Poi, il lungo percorso con psicologhe e operatrici di centri antiviolenza per uscire finalmente da una situazione difficilissima.

Da qui scatta la denuncia, ma vi è anche l’inevitabile decisione del giudice di affidare la piccola ai servizi sociali. Per Ramondino, infatti, i due genitori «si sono fatti pesantemente condizionare dal pastore a capo della comunità religiosa da essi frequentata, cedendo alle sue assurde pressioni senza rendersi minimamente conto dell’abnormità della situazione».

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