Per i giudici amministrativi nel Municipio vibonese c’è stata una «volontaria e consapevole cooperazione con gli scopi dell’organizzazione criminale»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
x-default
La terza sezione del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso dell’ex sindaco di Capistrano Marco Martino (e di altri ex amministratori, tutti difesi dall’avvocato Oreste Morcavallo) e gli organi elettivi dell’ente rimangono pertanto sciolti per infiltrazioni mafiose. Confermata, pertanto, la sentenza del Tar del Lazio del 19 agosto dello scorso anno. Il commissariamento per infiltrazioni mafiose era stato deciso dal Consiglio dei ministri il 17 ottobre 2023. Il ricorso era stato presentato dagli ex amministratori contro il Ministero dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Prefettura di Vibo Valentia, tutti rappresentati dall’Avvocatura dello Stato.
Per i giudici del Consiglio di Stato, l’attività ispettiva della Commissione di accesso agli atti (nominata dalla Prefettura di Vibo nel dicembre 2022) su cui si fonda il provvedimento di scioglimento degli organi elettivi del Comune di Capistrano “ha accertato l’adozione di atti non solo illegittimi, ma funzionalmente collegati a dinamiche che sono inerenti a collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi”. In particolare – sottolineano i giudici amministrativi di secondo grado – la “relazione prefettizia ha dato conto dei diffusi processi di illegalità nel settore dell’accertamento e della riscossione dei tributi comunali, nonché nel settore degli affidamenti pubblici, con ricorso ad affidamenti sottosoglia e disattendendo il principio di rotazione”. Sempre per il Consiglio di Stato rimangono inoltre “incontestati la grave inerzia e il perdurante comportamento omissivo da parte della struttura politica e burocratica dell'ente. L’agire amministrativo, in alcuni settori, è risultato deviato dal fine dell'interesse pubblico per privilegiare anche interessi di soggetti controindicati, con conseguente snaturamento e distorsione delle funzioni di servizio ai cittadini da parte dell'ente locale e della sua rappresentanza politico-amministrativa”.
A tal proposito, i giudici del Consiglio di Stato ricordano in sentenza che “una gestione amministrativa complessivamente inerte ed inefficiente, o addirittura improntata a criteri preferenziali in favore di determinati soggetti, costituisce una precondizione per l’esercizio del fenomeno della criminalità organizzata, posto che priva i cittadini della regolazione che dovrebbe essere garantita - nell’interesse pubblico, e in piena oggettività - dalle pubbliche autorità, creando conseguentemente lo spazio per la tutela approntata dal contropotere mafioso”. Per il Consiglio di Stato vi sono quindi “riscontri obiettivi” sul condizionamento portato alla luce dalla Commissione di accesso agli atti per il Comune di Capistrano, condizionamento che “va ben oltre una mera contiguità passiva, evidenziando invece profili di volontaria e consapevole cooperazione agli scopi dell’organizzazione criminale”. Secondo il Consiglio di Stato, la sentenza del Tar del Lazio “risulta motivata in relazione a plurimi elementi”, mentre il ricorso dell’ex sindaco Marco Martino “tenta un approccio atomistico che non coglie nel segno, perché non riesce compiutamente a far cadere la rilevanza neppure dei singoli elementi”. Ed anche il principio giuridico del c.d. “pregiudizio territoriale” posto a base del provvedimento di scioglimento non è stato usato nel caso di Capistrano “come mera e generica presenza nell’ambito comunale di consorterie mafiose”, come invece sostenuto dai ricorrenti, bensì quale “accertata influenza mafiosa sull’amministrazione locale”.
Le contestazioni mosse alla sentenza del Tar con il ricorso in appello risultano per il Consiglio di Stato “generiche ed apodittiche, avendo tale pronuncia ben individuato le ragioni dell’infondatezza del ricorso di primo grado”. E non basta ai giudici del Consiglio di Stato che il Comune di Capistrano si sia costituito parte civile nel processo “Imponimento”, atteso che uno dei consiglieri comunali imputati non è stato assolto (come sostenuto dai ricorrenti), bensì il reato (truffa ai danni dell’Inail) è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Il fatto quindi che, nel caso di specie, “non si sia pronunciata sentenza di assoluzione, evidenzia – rimarcano i giudici amministrativi – l’introduzione nei gangli vitali dell’ente locale di soggetti poco inclini, nei rapporti con le amministrazioni pubbliche, al rispetto della legalità”. Il Consiglio di Stato ricorda infine in sentenza che l’Avvocatura dello Stato – che ha difeso il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Vibo e la Presidenza del Consiglio dei ministri – ha “analiticamente controdedotto a tutte le contestazioni, evidenziando – con allegazioni rimaste peraltro prive di replica - come queste siano del tutto smentite dall’attività istruttoria prodromica all’adozione del provvedimento impugnato”, ovvero il provvedimento che ha portato allo scioglimento degli organi elettivi del Comune di Capistrano per infiltrazioni mafiose. Da qui l’infondatezza del ricorso degli ex amministratori che è stato perciò respinto.
Da ricordare che a sollevare il “caso Capistrano” era stata la testata Il Vibonese.it con un’inchiesta pubblicata il 2 Giugno 2022 dal titolo “Elezioni e inchieste: da Filogaso a Capistrano, ecco l’interesse della Dda di Catanzaro” a cui era seguita il 29 Giugno 2022 una pubblica denuncia dell’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, che aveva chiesto alla Prefettura di Vibo l’invio della Commissione di accesso agli atti al Comune di Capistrano. L’allora prefetto di Vibo Valentia, Roberta Lulli, avevo poi disposto l’accesso agli atti nel Municipio di Capistrano il 20 Dicembre 2022, mentre la relazione che ha portato allo scioglimento degli organi elettivi dell’ente per infiltrazioni mafiose era stata redatta dal prefetto Paolo Giovanni Grieco.