Dopo lo scandalo Vatileaks 2 torna al centro delle cronache giudiziarie come imputata nel processo legato all'acquisto controverso di un palazzo londinese
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Francesca Immacolata Chaouqui durante la presentazione del suo libro "Nel nome di Pietro". La donna è stata condannata in Vaticano a 10 mesi di reclusione con pena sospesa nel processo 'Vatileaks 2' sulla divulgazione delle carte riservate della Santa Sede. Roma, 23 febbraio 2017. ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Nuova inchiesta in uno scandalo senza fine. Iniziamo a dire chi è Francesca Immacolata Chaouqui. Nata a San Sosti, in provincia di Cosenza, Francesca è una giurista ed esperta di comunicazione con una carriera a cavallo tra istituzioni religiose e mondane. Dopo la laurea in Giurisprudenza e alcune esperienze nella consulenza strategica, nel 2013 è stata nominata da Papa Francesco membro della Cosea (Commissione di studio e indirizzo sull’organizzazione economico-amministrativa della Santa Sede), con il compito di contribuire alla riforma e alla trasparenza delle finanze vaticane. All’epoca era una delle figure più giovani e meno convenzionali ad accedere ai vertici della Curia.
Oggi a distanza di quasi un decennio dallo scandalo Vatileaks 2, Francesca Immacolata Chaouqui torna al centro della scena giudiziaria vaticana. Questa volta non come testimone né come semplice figura d’ombra, ma come imputata. Il tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha aperto un nuovo fascicolo a suo carico nell’ambito del processo che ruota intorno alla controversa vicenda dell’acquisto del palazzo londinese di Sloane Avenue, acquistato con fondi della Segreteria di Stato e già costato la condanna, in primo grado, al cardinale Angelo Becciu e a tre finanzieri di rango.
Tre i capi di imputazione: traffico di influenze, falsa testimonianza e subornazione di testimoni. Secondo l’accusa, Chaouqui avrebbe tentato di influenzare uno dei testimoni chiave del processo, monsignor Alberto Perlasca, inducendolo a ritrattare o modificare la propria versione dei fatti. Non solo: avrebbe anche cercato di orientare le dichiarazioni di altri soggetti coinvolti nel procedimento, offrendo denaro e vantaggi in cambio della loro collaborazione. Le accuse sono gravi, tanto più perché inserite nel contesto di uno dei più clamorosi scandali finanziari nella storia recente della Santa Sede.
Ad aprire l’inchiesta non è un tribunale qualunque, ma la giustizia vaticana, che già nel 2016 aveva condannato la Chaouqui, allora giovane e ambiziosa esperta di comunicazione, a dieci mesi di reclusione con pena sospesa per il suo ruolo nella fuga di documenti riservati noti come Vatileaks 2. All’epoca fu giudicata colpevole in concorso con monsignor Lucio Vallejo Balda, con il quale avrebbe anche avuto una relazione, secondo quanto emerso dagli atti.
Eppure, nel 2013, il suo profilo sembrava quello di una promessa. Laureata in Giurisprudenza, comunicatrice brillante e determinata, Francesca Immacolata Chaouqui fu chiamata direttamente da Papa Francesco nella neonata Cosea. Era la prima volta che una donna così giovane, laica e per giunta sposata, veniva ammessa in un ambito così delicato e ristretto. Un segnale di riforma? Forse. Ma il suo percorso si sarebbe rivelato presto turbolento.
Nel giro di pochi mesi, infatti, la sua presenza iniziò a suscitare polemiche. Alcuni tweet imbarazzanti contro alti prelati e politici italiani – tra cui il cardinale Bertone e l’ex ministro Tremonti – accesero le prime polemiche. Lei si difese affermando che non ne era l’autrice. Ma le controversie non finirono lì. A irritare il pontefice fu anche una festa esclusiva organizzata da Chaouqui nel 2014 sulla terrazza della Prefettura degli Affari Economici, con vista su piazza San Pietro. Un evento mondano – tra jet set e politici – in occasione della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che si trasformò in un caso diplomatico.
Nel maggio 2014, la Cosea fu sciolta. Poco dopo esplose il caso Vatileaks 2, e Chaouqui fu accusata di essere uno dei “corvi” che avevano trafugato documenti riservati del Vaticano e alimentato la stampa con informazioni riservate. Nel 2015 fu coinvolta in un’altra indagine, stavolta per induzione alla concussione, insieme al marito. I due avrebbero cercato di pilotare una rogatoria legata al caso Ruby e a Silvio Berlusconi.
Nonostante tutto, Chaouqui non è mai scomparsa davvero dai radar. Nel 2017 ha pubblicato un libro, “Nel nome di Pietro”, in cui ha ricostruito – a modo suo – la stagione del rinnovamento vaticano. Nello stesso anno ha fondato una sua agenzia di comunicazione, View Point Strategy, ottenendo clienti di primo piano, sia in Italia che all’estero. Più di recente, è riapparsa anche nel dibattito sul caso di Emanuela Orlandi, rilasciando dichiarazioni a mezzo stampa che hanno riacceso sospetti e polemiche.
Il suo avvocato, Giuseppe Staiano, ha parlato di “massima fiducia nella giustizia vaticana” e della volontà della sua assistita di chiarire tutto al più presto. Ma l’impressione è che il sipario su Francesca Immacolata Chaouqui non sia destinato a calare tanto presto.
Nel complesso, la sua parabola racconta molto più di una singola vicenda giudiziaria. È il riflesso di un Vaticano in lotta tra trasparenza e segretezza, tra riformismo e resistenze antiche. Una corte millenaria che, ancora oggi, può trasformare una giovane donna in simbolo di rinnovamento – o in capro espiatorio.