L’udienza

Caso Bergamini, il tuono della difesa: «Isabella Internò come Enzo Tortora»

Uno degli avvocati dell'imputata prova a smontare la tesi dell'omicidio e punta il dito contro le supertestimoni Roberta Alleati e Tiziana Rota, strali contro i temi d'accusa infarciti di pregiudizi antimeridionali  

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di Marco Cribari
26 settembre 2024
18:01

«Con Enzo Tortora, l’Italia perse la faccia. Mi chiedo se l’abbia mai riacquistata, ma so che con questa storia l’ha persa per la seconda volta». È un’immagine evocativa quella a cui l'avvocato Rossana Cribari si richiama per affermare con certezza che, quello di Donato Bergamini non fu affatto un omicidio. Poco prima si era rivolta ai giudici, citando il noto giornalista e presentatore tv nella sua espressione più celebre e anche più drammatica: «Io sono innocente, spero dal profondo del cuore, che lo siate anche voi». È la terzultima udienza del processo che si propone di far luce, in modo definitivo, sui tragici fatti di Roseto Capo Spulico del 18 novembre 1989. La prima delle due udienze riservate alla difesa di Isabella Internò.

«Roberta Alleati mente»

Il cuore dell’arringa di Rossana Cribari è stato l’attacco frontale a Roberta Alleati, la presunta fidanzata segreta nonché promessa sposa del calciatore, il “testimone zero” del 1989, quello su cui vent’anni dopo si innesteranno altre testimonianze a riscontro del delitto d’onore attribuito alla Internò.
«Voi non mi conoscete» scrive la Alleati in una lettera inviata ai familiari di Bergamini sei giorni dopo la sua morte. Ma secondo la Cribari, quella missiva è falsa già dall’incipit. «Il compagno di squadra Luigi Simoni ci racconta di un’ex fidanzata di Denis, “una bionda” che andava a trovarlo a casa della sorella a gennaio del 1989, mentre lui era infortunato. Bergamini si era trasferito lì per non sentire il padre che non voleva che si rivedesse con questa ragazza perché, anni prima, era stato lui a farli lasciare. Nessuna delle altre fidanzate di Bergamini era bionda, non c’è dubbio che quella donna fosse proprio Roberta Alleati».
Quest’ultima, secondo Rossana Cribari, si sarebbe anche tradita nel corso del suo esame in aula: «Ha detto che Denis era molto legato alla sua nipotina, la figlia della sorella, e ricordava che la bambina si rivolgeva a lui chiamandolo “Zio Dé”. La nipotina era molto piccola, è impensabile che non ci fosse anche la madre. Roberta Alleati, dunque, mente. Conosceva i familiari di Denis già dal gennaio del 1989». Il difensore ha messo sul piatto un'ulteriore sfilza di dettagli che, a suo avviso, dimostrano come anche la storia della promessa sposa sia del tutto infondata. E' uno dei temi caldissimi del processo, ma non l'unico.  


«Le precedenti sentenze avevano già spiegato tutto»

In precedenza, lei stessa aveva dato lettura delle sentenze di primo e secondo grado del processo per omicidio colposo contro Raffaele Pisano. «In entrambi i casi, si evidenzia come quella del suicidio sia una verità scomoda per Isabella, perché la espone al rischio di colpevolizzazione da parte dell'opinione pubblica. Il giudice Antonini, poi, all'epoca presidente della Corte d'appello di Catanzaro, ribaltava pure l'assunto secondo cui un calciatore bello, ricco e famoso, non può avere alcun motivo per togliersi la vita».
Cribari è passata poi alla terza sentenza già pronunciata su questa vicenda: l'archiviazione decretata dal gip Annamaria Grimaldi che, nel 2014, liquida le perizie medico-legali come «teorie sperimentali senza validità scientifica» e le tesi sul delitto d'onore come «suggestioni fondate su stereotipi antimeridionali». Sul punto l'avvocato si è accalorata: «In questo processo, ci siamo sentiti dire che noi del Sud siamo persone che utilizzano ancora la clava, che uccidiamo le persone, che siamo tutti mafiosi». Diversamente, già un decennio fa, quella sentenza stabilisce alcune certezze: «Che Pisano passava di lì per caso, che in quel momento sulla piazzola ci sono solo Isabella Internò e che Bergamini, volontariamente e sempre da solo, si sposta sulla Ss 106». E che quindi «non è un omicidio, non può essere un omicidio».

Il medico legale «pentito»

Il difensore della Internò si è poi soffermato sull'ultima perizia, quella a firma del defunto Antonello Crisci e di Carmela Buonomo che si chiude con una formula: «Nessuna certezza tecnica». Cribari cita l'incidente probatorio: «La dottoressa Buonomo dice che per avere la certezza avrebbe dovuto avere a disposizione tessuto fresco. Nel caso di Bergamini, si parla di alta probabilità. E che vi deve dire di più?» e passa poi a vagliare le parole della professoressa Turillazzi: «Lei afferma cha certezza non è propria delle attività di cui stiamo parlando. E che vi deve dire di più?». Cribari ha fatto poi riferimento al professor Pietrantonio Ricci, già consulente della famiglia Bergamini del quale, la parte civile, ha tentato fino all'ultimo di impedire la testimonianza in aula. «E che cosa ha detto Ricci? - ha tuonato l'avvocato - In tutta coscienza vi ha detto che l'utilizzo della glicoforina non restituisce alcuna certezza per stabilire se una lesione è vitale oppure no. Lui voleva che si facesse questo processo, ci ha portati fino a qui, ma oltre non può andare». La Cribari lo ha definito «il pentito» di questa vicenda.

E quello che aveva capito tutto già 35 anni fa

La verità, secondo la difesa, l'aveva già scritta 35 anni fa il professore Francesco Maria Avato, ma non per come inteso dall'accusa che «non a caso, non lo aveva neanche inserito nella lista testimoniale nonostante fosse l'unico ad aver messo mano al corpo ancora integro di Bergamini».
In aula, il luminare ferrarese ha chiarito cosa intendesse dire con quella «sofferenza polmorare» da lui riscontrata e su cui anni dopo si è innestata la teoria dell'asfissia meccanica. «Non è compatibile, dice Avato, perché avrebbe dovuto avere manifestazioni macroscopiche che, invece, non ha visto». I segni del soffocamento soft, secondo Avato, avrebbero dovuto manifestarsi in termini di reazione dell'organismo. «Avrei dovuto trovare segni sul cervello - aveva spiegato in aula - e Bergamini avrebbe dovuto avere le labbra blu». L'asfissia, sosteneva Avato, non fu determinata da un ipotetico sacchetto di plastica stretto al collo del calciatore, così come immagina la Procura, ma dalla ruota che gli schiacciò il bacino. Non precede l'investimento. Arriva dopo.

Testimoni buoni, testimoni cattivi

Ampio spazio la Cribari ha dedicato alla personalità della Internò - «Una ragazza moderna e sessualmente libera» - cresciuta in un contesto familiare tutt'altro che «patriarcale» così come rappresentato dalla Procura, ed è poi passata a scandagliare le dichiarazioni dei testimoni.
«Francesco Forte è un testimone che mente. Nelle intercettazioni, i suoi parenti lo chiamano "pallonaro", uno che inventa le cose». Mario Panunzio, invece, è un testimone oculare che «l’allora avvocato della famiglia Bergamini rintraccia due anni prima dei carabinieri, ma lo nasconde con la finalità di screditare le dichiarazioni di Isabella Internò». Panunzio descrive la disperazione di Isabella Internò, Rocco Napoli documenta come, prima di finire sotto al camion di Pisano, Bergamini si muova pericolosamente sulla Ss 106 al punto che anche lui rischia di investirlo. «E perché lui e Napoli dovrebbero mentire?» ha chiesto il difensore rivolgendosi alla Corte.

Tiziana Rota, la paura del Sud e la medium

I suoi strali si sono abbattuti anche su Tiziana Rota, quella del discorso della pasticceria che, a più di vent’anni dai fatti, tira fuori le parole che Isabella avrebbe pronunciato davanti a lei, dodici giorni prima della tragedia: «Se non può essere mio, meglio che muoia».
Tiziana Rota è «il testimone che tutti vorrebbero avere» ha chiosato Cribari, utilizzando un’espressione del pm Luca Primicerio, ma la sua paura di testimoniare in aula è stata uno dei tormentoni del processo finché poi è emerso che «aveva timore di venire in Calabria perché una medium le aveva detto che sarebbe stata uccisa».
«Una medium» ha ribadito il difensore, alzando notevolmente i decibel della voce. «Se era così certa che Isabella avesse ucciso Bergamini, perché poi la accoglie a casa sua per una settimana? E perché dopo diversi mesi la invita al battesimo di sua figlia?». Ulteriori picconate le ha riservate alla ricostruzione del preteso omicidio così come proposto dall’accusa per dimostrarne l’inverosimiglianza.
«Nelle mani non avete nulla che vi possa consentire di rovinare la vita di Isabella Internò» ha affermato in conclusione, chiedendo ai giudici di assolvere l’imputata «con la formula più ampia». Il processo riprenderà il 30 settembre con l’arringa dell’altro difensore, l’avvocato Angelo Pugliese. Il giorno successivo, dopo eventuali repliche del pm e della stessa difesa, toccherà ai giudici pronunciare l’ultima parola su questa vicenda.

Giornalista
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