“Clinica malata”, la casa di cura come bancomat dei Tricarico: si indaga sui complici

Il denaro distratto ammonterebbe a 7 milioni di euro, versati su conti correnti privati e trasferiti anche all'estero. Gli inquirenti continuano a scavare nel passato della struttura di Belvedere Marittimo per individuare altri responsabili della bancarotta fraudolenta

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di Francesca  Lagatta
4 giugno 2020
17:04
Clinica Tricarico di Belvedere
Clinica Tricarico di Belvedere

La notizia della carcerazione dei fratelli Pasqualino e Ciro Tricarico Rosano, (amministratori di fatto delle società "Istituto Ninetta Rosano Srl" e "Casa di cura Tricarico Rosano Srl"), unitamente a quello del figlio di quest'ultimo, Fabrizio Tricarico Rosano (socio dell'Inr e legale rappresentante del Ctr), detenuto in regime di domiciliari, è stato un vero e proprio e proprio terremoto a Belvedere Marittimo, la città della costa tirrenica che dagli inizi degli anni '70 ha ospitato la loro "creatura", l'omonima clinica privata polverizzata da una sentenza di fallimento datata luglio 2018. E proprio da qui partono i controlli dei magistrati della procura di Paola, da una montagna di debiti, 128 milioni di euro per la precisione, accumulati anche nei confronti dell'Erario.

Peccato che nel contempo, si legge nei documenti della procura, i Tricarico perpetravano una «distrazione delle disponibilità delle società attraverso l'appropriazione di contante presente nelle casse aziendali». Si tratta di un sistema ben consolidato, dicono ancora gli investigatori, che ha fatto scattare l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. Nell'inchiesta, denominata "Clinica malata", è indagata una quarta persona, Carmen Rosano, socia e legale rappresentante dell'Inr e amministratrice di fatto della Ctr. Da qualche mese la clinica, oggi Tirrenia Hospital, è gestita dalle società del gruppo Crispino, che è del tutto estraneo alle operazioni giudiziarie odierne.

Le indagini

Il periodo che i magistrati inquirenti di Paola hanno posto al setaccio è quello che va dal 2011 al 2018, ossia dal periodo in cui la società di gestione "Istituto Ninetta Rosano Srl", già fortemente indebitata, lascia spazio alla società "Casa di Cura di cura Tricarico Rosano Srl", fino alla sentenza che dichiara il fallimento della prima società, esteso un anno dopo anche alla seconda. Nonostante nel 2010 i creditori siano già numerosi, negli anni successivi le società continuano a gestire il patrimonio in modo scellerato, anche grazie alla disponibilità economica derivante dall'accreditamento per le prestazioni sanitarie rilasciato dal servizio sanitario regionale.

Nello specifico, gli inquirenti mettono in evidenza che la società Casa di Cura Tricarico Rosano Srl, costituita nel 2009 ma diventata operativa nel gennaio del 2011, fa capo al medesimo nucleo famigliare ed è «priva di consistenza patrimoniale e finanziaria idonea a gestire l'azienda (il capitale sociale è di 20mila euro)».


L'università a Malta e le consulenze ingiustificate

Nelle 76 pagine di ordinanza, l'elenco delle spese personali o non meglio specificate effettuate con i soldi destinati alla clinica, è lungo. Tra queste, tra il febbraio 2014 e il febbraio 2015 c'è sicuramente l'iscrizione all'università privata Link Campus University di Fabrizio Tricarico, che è già a capo della "Ctr Srl" e presenta un f24 di tutto rispetto. In quel periodo, da una filiale bancaria di Guardia Piemontese partono quattro bonifici da circa 4mila euro, per un totale di circa 16mila euro.

Ad attirare l'attenzione degli investigatori, ci sono anche i bonifici relativi alle prestazioni di lavoro autonomo a favore di Ciro Tricarico Rosano, già dipendente della clinica. Le fatture, emesse dallo stesso Ciro Tricarico, «sono prive di giustificazione causale, recano un descrizione generica e non sono supportate da alcun tipo di contratto, che ne specificasse compenso, tipologia e durata». Le prestazioni non meglio specificate e registrate nel periodo tra il 2013 e il 2016, ammontano a un totale di € 738.314,02. Stesso copione per il fratello Pasquale, che tra il 2012 e il 2016 intasca con le medesime modalità oltre 1 milione e 700mila euro. I pagamenti, che avvenivano tramite bonifici e assegni, avvenivano negli stessi periodi in cui gli otre 200 dipendenti della clinica subivano, come spesso è accaduto negli anni, forti ritardi nei pagamenti degli stipendi.

Il flusso di denaro all'estero

«Il flusso di soldi lo abbiamo seguito finché è stato possibile». Ha risposto così il procuratore Pierpaolo Bruni alla domanda in cui gli si chiedeva se gli indagati avessero tentato di occultare del denaro al di fuori dei propri conti correnti. E così, scopriamo che, secondo le accuse mosse dai magistrati, la montagna di soldi trafugata, 7 milioni secondo le stime, sarebbe finita in parte all'estero, nelle casse di almeno due società con sede in Gran Bretagna che rientrano nelle disponibilità del nucleo famigliare oggi al centro dell'inchiesta.

Una truffa in solitaria?

Da quel che pare di capire, le indagini sulla ex clinica Tricarico sono tutt'altro che concluse e anzi l'inchiesta potrebbe espandersi a macchia d'olio e arrivare in uffici sia privati che pubblici. È difficile, infatti, immaginare, che la presunta truffa sia stata messa a segno senza l'aiuto di qualcuno o senza che qualcuno si accorgesse di ciò che stava accadendo. Chi ha controllato i conti della clinica? Sono stati omessi dei passaggi? Chi e in che modo ha convalidato i bilanci? Ma soprattutto, com'è stato possibile che un mese e mezzo prima del fallimento, in piena procedura di concordato, sia stato concesso l'accreditamento dei servizi sanitari alla vecchia società, la "Inr", riattivata dopo otto anni e surclassata di debiti? In altre parole, le ulteriori indagini potrebbero aiutare a comprendere se i Tricarico abbiano o meno agito da soli.

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