Corto di Muccino, Ettore Castagna: «Sembra fatto dal fratello scemo di Tornatore»

L'antropologo e musicista scrive al regista che ha firmato "Calabria, terra mia": «Cerchi di provocare nostalgia di un tempo andato, ma lo hai fatto senza scrittura, senza simbolo e senza valore»

di Redazione
22 ottobre 2020
23:13
Ettore Castagna
Ettore Castagna

*di Ettore Castagna

 


Caro Muccino,

era il 1993 e qualcuno mi scattò questa polaroid al Liceo Artistico di Bergamo. Da lì a poco mi sarei licenziato da professore. Volevo rientrare in Calabria per fare il giornalista. Il mio preside (napoletano mi pare) di allora mi disse: “Castagna lei è pazzo… Lei è il primo meridionale statale al Nord che si licenzia per andare a fare il privato al Sud”. Mia madre sapendo che rinunciavo alu posticeddu si rivolse alla Madonna senza successo. La mia testa non cambiava. Mi divorava la Nostalgia. Volevo cambiare il mondo e, soprattutto, la Calabria.

 

Così ho provato a fare e mi sono licenziato. La Calabria non mi aspettava e non mi accolse a braccia aperte. Passai otto anni ad accorgermi che la Nostalgia è un sentimento perfido che fa vedere le cose come non sono mai state. Proprio a noi che le abbiamo vissute. Riesce a migliorare anche i brutti ricordi o le tristezze più taglienti. Come fanno le Ricordanze di Leopardi.

 

Non è la Nostalgia che ci salverà. Ma, forse, la Memoria. Magari è il caso di ricordare che le cose hanno lati belli e brutti. Che esiste l’amaro e il dolce. Che ognuno di noi è accompagnato, come dice il Corano, da un Angelo del Bene e un Angelo del Male.

 

Correva il fatidico duemila e rinunciai alla Calabria per ricondurmi al Nord. Il mio rivoluzionario lavoro calabrese non mi dava da vivere. Mi aspettava qualche anno di libera professione e, poi, tornare a fare il professore. Mi sarei di nuovo fatto fregare dalla Scuola e poi dall’Università…

 

La Nostalgia da una parte mi aveva fottuto e dall’altra mi aveva dato un’opportunità per conoscere meglio me e la terra dove sono nato.

 

Caro Muccino, tu non leggerai mai questo post ma, se caso mai, proprio ora, mi leggessi staresti pensando: “… ma questo… che dice?… Questo che vuole?”

 

Dammi tempo, amico mio.

 

La Regione Calabria ti ha commissionato un corto con una mission. Rappresentare la Calabria al mercato del Turismo. Si tratta di un mercato del sogno. Dove il sogno è acquistabile più o meno a buon mercato. La Nostalgia è una leva potentissima in questo mercato. Soprattutto la Nostalgia verso quello che mai si è vissuto. La Nostalgia dell’autenticità che è in vendita tutti i giorni sui banchi dei supermercati di tutto il mondo.

 

Per questo motivo, artisticamente parlando, entrare dentro la Nostalgia è un fatto da grandi. Non è affare per piccoli. Il cinema è pieno di esempi più che mirabili. C’è una immensa, abissale differenza fra la nostalgia del professor Castagna (e dei suoi sogni rivoluzionari) e la nostalgia cinematografica processata in qualcosa che non si è mai visto da parte di qualcuno estraneo ai luoghi.

 

Eh, già… Parliamo di musica… Conosci “Canciòn Mixteca”? C’entra con la colonna sonora di “Paris Texas” di quel colosso di Wenders, suonata da quel colosso di Ry Cooder.

 

Non sono entrambi mixtechi ma hanno capito, in questa canzone, l’essenza della Nostalgia. Non citiamolo tutto il testo ma solo la prima parte. Chi canta si sente lontano dal “suelo” dove è nato. “El suelo”, il suolo. Qualcosa di meno immaginifico e polisemico della parola "terra". Suolo… Pare una cosa edilizia ma c’è un legame. Esiste un legame con quel suolo, recidendo il quale, il mondo è tristezza e solitudine. È una tristezza dolce per la quale vale la pena di morire di “sentimento”.

 

Qué lejos estoy del suelo

Donde he nacido

Inmensa nostalgia

Invade mi pensamiento

Al ver me tan solo y triste

Cual hoja al viento

Quisiera llorar

Quisiera morir

De sentimiento

 

Non mi interessa, illustrissimo, che tu abbia “interpretato” al tuo modo questo famosa Nostalgia del mai visto e del mai vissuto. Questo è del tutto legittimo. È artistico, direi. Con finalità commerciali? Anche questo potrebbe essere legittimo in un lavoro su commissione. Mi fa sorridere l’approssimazione da Sicilia Minore con la quale hai rappresentato la Calabria di fronte a un possibile pubblico estraneo. Sembra il corto di un fratello scemo di Tornatore (che scemo non è per nulla). Costruisci una nostalgia di cose autenticamente improbabili, irreperibili, invisibili. Come due personaggi seduti al centro di una piazza a commentare con un accento inesistente degli atteggiamenti da innamorati improbabili sotto una luce solare irrealisticamente cinematografica.

 

Parlando in (davvero) grande, tu non sei Ulisse e non sai il dolore del ritorno per un’Itaca ben conosciuta. Parlando in piccolo, tu non sei Castagna e non sai il dolore del ritorno verso il cemento e gli ulivi del Rione Stadio, Catanzaro.

 

Tu sei un regista che deve indurre nostalgia nel turista. Per ragioni promozionali e commerciali. La famosa nostalgia del mai conosciuto che muove il mercato delle visite, degli alberghi e delle spiagge. Cerchi di provocare la nostalgia di un tempo andato, garantito in un presente della periferia italiana, in un pubblico da prima serata di Rai Uno. Ma lo hai fatto senza scrittura, senza simbolo e senza valore.

 

La mano di lui sulla coscia della protagonista in uno dei primi take del corto non è erotismo, è una sciatteria comunicativa. La Calabria non è testosterone misto a un paesaggio rurale da pubblicità del Mulino Bianco nonché un mare verde di Criptonite dove nemmeno Superman potrebbe bagnarsi. Non attacca. A chi la vuoi vendere questa Nostalgia, Muccino?

 

Il cliente certamente comprerà una più credibile e stereotipa nostalgia per i Caraibi, per Hammamet, per le Canarie, per Napoli e per la Sicilia. La Calabria è, certe volte, bellezza per il turista e, spesso, amarezza, per il nativo. Ma tu di questo non hai saputo rappresentare nulla.

 

Scrivimi in privato. Che lo story board te lo rifaccio io. Gratis.

 

*Antropologo, musicista e scrittore

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