Il reportage

Estate già finita nel Reggino, turisti solo a Scilla e Roccella: nel resto delle spiagge chioschi chiusi e lidi deserti

FOTOGALLERY | Nonostante il tentativo di allungare la stagione turistica, sul Tirreno e lo Ionio della provincia di Reggio Calabria poche presenze e molti stabilimenti hanno già iniziato a portare via sdraio e ombrelloni (ASCOLTA L'AUDIO)

di Vincenzo Imperitura
15 settembre 2022
06:30

In barba ai «sei mesi d’estate» sbandierati in tutte le manifestazioni di promozione turistica sul territorio nazionale, e ripetuto come un mantra da operatori, politici e commentatori rispetto alle potenzialità turistiche della Calabria, il ritorno in aula per il primo giorno di scuola, segna (quasi) ovunque la chiusura della stagione estiva.

E se i centri più attrezzati, e che nel tempo sono riusciti a guadagnarsi la fiducia di un pubblico che scavalca i confini regionali tengono botta, molti centri costieri che godono delle medesime meraviglie naturali e storiche, hanno già tirato i remi in barca. Un po’ la paura delle mareggiate – che a settembre, soprattutto sullo Jonio, possono essere devastanti – un po’ i continui rincari dell’energia elettrica e delle materie prime, le spiagge della provincia reggina si sono svuotate dei tanti chioschetti, tutti uguali, spuntati come funghi tra giugno e luglio. Nonostante le concessioni stagionali consentirebbero almeno un’altra manciata di settimane di operatività. E con tanti saluti ai «sei mesi d’estate» e ai propositi di vivere di turismo tutto l’anno.


Le perle del Tirreno

Più forte dell’alluvione a due giorni da Ferragosto, più forte delle violenze dei clan che da anni provano a metterla sotto scacco, Scilla – da sempre una delle regine del turismo calabrese – continua ad accogliere frotte di turisti, soprattutto stranieri. Tutti aperti gli stabilimenti della marina Grande e anche la spiaggia libera, complice i 32 gradi e un mare da depliant turistico, brulica di bagnanti. Solo il pezzetto di arenile a valle del disastro di acqua e fango di agosto è vuoto, ma nessuno sembra farci caso. Pieno il porto sotto la rocca, così come i vicoli di Chianalea: in questo pezzo di Calabria è ancora piena estate.

Ma basta risalire la costa di qualche chilometro e a Palmi, altro gioiello della Costa Viola affacciato sullo Stretto, la situazione cambia radicalmente. L’Ulivarella, una delle spiagge più affascinanti delle coste calabresi, è di fatto nuovamente una spiaggia libera. Molti degli stabilimenti hanno già smontato gli ombrelloni e riposto i lettini; altri restano monchi, con qualche postazione superstite proprio attaccata alla battigia.

Altri ancora ci provano, e lasciano intatte le schiere di ombrelloni che restano chiusi. Anche molti dei chioschetti sul lungomare della Tonnara e di Pietre Nere hanno chiuso i battenti. Così come hanno fatto nel centro storico della cittadina più grande della provincia, dove tutti o quasi i negozietti legati all’accoglienza – cibo di strada, bar, anche alcune pizzerie – hanno tirato giù le saracinesche per un periodo di ferie post stagione estiva.

La carica delle bandiere blu

Più o meno quello che succede sull’altro versante della provincia. Se infatti Roccella, carica di una bandiera Blu con 20 anni di anzianità, resiste all’inarrestabile emorragia turistica del settembre calabrese, pochi chilometri a nord e a sud, negli altri due centri della riviera dei Gelsomini che sono saliti sul carrozzone della “bandiera blu”, le cose non vanno altrettanto bene.

E se a Siderno ci ha pensato la festa di Portosalvo a stiracchiare la stagione fino alla seconda settimana di settembre – ma anche qui molti degli stabilimenti hanno già iniziato a smontare le proprie strutture e i chioschetti a centellinare l’orario di apertura – a Caulonia, che il riconoscimento turistico per la bellezza del mare e i servizi offerti al pubblico lo ha guadagnato solo nella scorsa primavera, è diventato complicato anche prendere un caffè. I chioschetti e gazebi della movida si sono arresi lo scorso week end, ma già dopo la chiusura del “Tarantella Festival” gli affari sono crollati. Resiste ancora qualche stabilimento, aperto più che altro per la clientela stagionale che «ai sei mesi d’estate» sembra essere l’unica rimasta a crederci.

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