L'ex presidente dell'istituto culturale: «Abbiamo portato la voce di un'altra Calabria nel Mondo. E ci hanno spenti». Il racconto di uno scioglimento che lascia dietro di sé silenzi, contraddizioni e domande ancora senza risposta
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«Dov’è lo Stato?» La domanda si alza netta, senza bisogno di retorica, nell’eco della voce di Aldo Maria Morace, uno dei più autorevoli studiosi viventi di Corrado Alvaro e figura centrale della letteratura italiana contemporanea. A domandarselo non è un militante o un politico, ma un intellettuale che da venticinque anni ha guidato la Fondazione Corrado Alvaro, un presidio culturale che ha portato la Calabria in Europa e nel mondo. E che oggi, per un provvedimento amministrativo - a detta dello studioso - mai pienamente motivato, si trova sciolta, azzerata, rimossa.
«È l’unico caso in Italia di scioglimento di una Fondazione culturale - spiega Morace -. Si parla di “motivi amministrativi”, ma si lasciano cadere sospetti pesantissimi, allusioni a infiltrazioni mafiose. E allora mi chiedo: davvero si può parlare di mafia in una Fondazione che non ha fondi, non riceve contributi pubblici, non muove denaro? Davvero si pensa che la criminalità organizzata abbia interesse a infiltrarsi in una realtà povera, eppure ricca solo di idee? È un paradosso, anzi, è una ferita».
Una ferita che affonda in un silenzio istituzionale che dura da mesi. Nessuna risposta ufficiale, nessuna presa di posizione da parte dei rappresentanti del territorio. «Il presidente Occhiuto non ha speso una parola. I parlamentari calabresi tacciono. Eppure stiamo parlando di una delle poche realtà che ha resistito alla ‘ndrangheta sul campo, parlando di legalità, promuovendo cultura, creando legami in Europa. Dopo la strage di Duisburg, fummo noi della Fondazione a essere invitati all’ambasciata italiana a Berlino. Portammo la voce dell’altra Calabria: quella che non uccide, che non traffica, ma scrive, studia, testimonia».
La Fondazione Corrado Alvaro, nata trent’anni fa, ha pubblicato, promosso, diffuso l’opera di uno degli autori più lucidi e complessi del Novecento italiano. E lo ha fatto con una lettura nuova, europea, attuale. «Noi siamo abituati a un Alvaro localistico, regionale, perfino folcloristico. Ma Alvaro è stato altro. È stato un giornalista di livello internazionale, un viaggiatore, un intellettuale capace di leggere l’Europa fra le due guerre come pochi altri. Ha raccontato la paura, il razzismo, l’odio, l’Europa malata che poi avrebbe generato la guerra. È stato un’antenna del proprio tempo».
Morace parla come chi ha vissuto una missione civile, non un incarico. «Abbiamo ripubblicato testi dimenticati, organizzato convegni, diffuso nelle scuole la figura di Alvaro, anche con materiali didattici. E lo abbiamo fatto senza mai ricevere un euro di rimborso. Perché ci credevamo. Perché credevamo che la cultura fosse l’unico vero antidoto alla violenza».
A San Luca, epicentro di questa storia, la Fondazione ha operato per decenni. Ma oggi, spiega Morace, «il legame col territorio è stato spezzato. E il rischio è che a trionfare non sia lo Stato, ma l’abbandono». Poi l’affondo, lucidissimo: «Lo Stato non fa nulla per creare alternative. Non ci sono biblioteche, non ci sono spazi per i giovani, non ci sono luoghi dove imparare, crescere, immaginare. Solo motorette che girano senza meta. Ma allora chiediamoci: chi vince davvero in questo vuoto?»
Il nodo politico-istituzionale è ancora più inquietante. Perché nel caso San Luca – come nel caso Fondazione – lo Stato si contraddice da solo. «Da studioso, ho letto tutto. E ho trovato una contraddizione evidente. Da una parte la Commissione d’accesso, che chiede lo scioglimento del Comune, con motivazioni francamente tirate per i capelli. Dall’altra, la Commissione Antimafia, che fa un lavoro eccellente – soprattutto nella parte storico-sociologica – e si dichiara contraria ai commissariamenti. E lo fa in modo netto. Addirittura chiude i suoi atti dicendo: “Se non ci sono candidati, ci candideremo noi” pur di evitare l’ennesimo scioglimento».
Eppure, nonostante questa posizione ufficiale, il Ministro Piantedosi porta comunque lo scioglimento in Consiglio dei Ministri. «E lo fa dichiarando lui stesso dubbi sull’efficacia del provvedimento. Ma allora, scusatemi: chi ha ragione? La Commissione Antimafia o la Commissione d’accesso? Se lo Stato si divide su se stesso, come può pensare di rappresentare credibilmente il territorio?».
Il racconto di Morace si fa più amaro quando rievoca episodi che sanno di beffa. «Quando andammo dal Commissario prefettizio, ci sentimmo dire: “Ma perché non vi sciogliete?” Una frase che dice tutto. Invece di aiutarci, ci si invitava a scomparire. Anche in occasione del convegno su Padre Stefano De Fiores, il primo presidente della Fondazione, un uomo morto in odore di santità, il Commissario si alzò e se ne andò prima ancora che cominciasse l’incontro, senza salutare il vescovo Bregantini, né i docenti venuti da Roma. Lo Stato non c’era. E allora, anche quel giorno, dissi ad alta voce: “Dov’è lo Stato?”».
Alla vigilia del ricorso al Tar, Morace non cerca vendette né rivincite. Ma rivendica la verità. «Mi auguro che il reintegro della Fondazione, se ci sarà, non resti un gesto isolato. Mi auguro che ci sia un sussulto, un’assunzione di responsabilità. Non crociate, ma una legge speciale per questi paesi dimenticati, condannati al sospetto. Perché nessuna Calabria potrà mai risollevarsi finché sarà vista solo come emblema di mafia. San Luca ha diritto a esistere. La Fondazione aveva il compito – e l’ambizione – di raccontarlo al mondo».
Poi, la voce si fa ancora più piana. Ma non meno incisiva. «Io non ho paura. Non ho ombre. Ho fatto solo quello che ritenevo giusto. Ma è dura vedere una Regione che non si difende, una cultura che non viene protetta, una gioventù che resta senza alternative. È in quel vuoto che la mafia prospera. E noi invece abbiamo perso un’occasione».
E allora, ancora una volta, Morace si ferma. Guarda indietro. Guarda avanti. E ripete la stessa, lacerante domanda che aveva lanciato anni fa durante un convegno rimasto senza risposta: «Dov’è lo Stato?».