Funerale rom, il testimone di giustizia: «Armando era onesto e un gran lavoratore»

Rocco Mangiardi traccia un ritratto dell’uomo il cui rito funebre è stato svolto in spregio a qualunque norma anti Covid: «Veniva nel mio negozio non per chiedermi il pizzo come hanno fatto alcuni italiani 'ndranghetisti»

di Tiziana Bagnato
20 aprile 2020
18:29

 

 


Un lavoratore, un uomo onesto, “un essere umano per bene”.  Il testimone di giustizia Rocco Mangiardi parla così di Armando Bevilacqua, l’uomo diventato suo malgrado noto a livello nazionale dopo il video che immortala l’uscita della bara dal palazzo in cui viveva in un quartiere abitato prevalentemente da cittadini di etnia rom.

 

Un’uscita accompagnata da un rito funebre con tanto di folla, musica e lancio di palloncini. Il tutto in epoca Coronavirus, in spregio alle norme anti contagio, se non fosse per le quali il video non sarebbe diventato virale e oggetto di dibattito nei salotti televisivi italiani. Una vicenda che ha finito per mettere da parte la persona, chi in quella bara giaceva, morto a soli 51 anni dopo avere accusato un malore mentre stava lavorando in un ingrosso ortofrutticolo.  Un uomo che il testimone di giustizia Rocco Mangiardi conosceva e di cui traccia un ricordo: «Non era un poco di buono, non era un criminale, ma si ammazzava di lavoro. Così è morto: lavorando».

 

«Non siamo tutti uguali esistono i buoni ed esistono i cattivi. Armando – racconta ancora Mangiardi -  faceva parte di questi primi. Parlo di lui perché di lui ho ricordi semplici, belli e indelebili. Voglio ricordarlo poiché veniva nel mio negozio, non per chiedermi  il “ pizzo”, come hanno fatto alcuni italiani ‘ndranghetisti , ma per comprare e pagare, quel che gli serviva acquistare».

 


«Diventammo amici e un giorno mi chiese di battezzare un suo figliolo e lo feci con entusiasmo. Il giorno del battesimo andai a casa sua ed ebbi nella sua umile casa un’accoglienza semplice e umana e mi persi negli occhi della sua bella famiglia educata che insieme alla moglie stava crescendo». «Dopo la cerimonia religiosa – ricorda il testimone di giustizia - andammo a festeggiare e dopo il pranzo mi ritrovai a ballare con i lui e con i presenti la tarantella. Era talmente felice di quella giornata che i suoi piedi in quella danza, sembravano non toccare mai il pavimento, mentre io, goffo cittadino impacciato, sembravo, quantunque ce la mettessi tutta, uno spaventapasseri al confronto».

 


«Ho voluto ricordare Armando perché ho scelto di vivere non in un mondo che fa distinzioni di razze e di etnie, ma in un mondo  - conclude - dove ci sono anche tante persone per bene e Armando lo era».

Giornalista
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