A Putignano, la polizia ha chiesto a una famiglia di rimuovere il vessillo in vista della corsa. Non esiste una legge che vieti di esporla ma, evidentemente la legalità ha preso una pausa di riflessione. Di questo passo, rischiamo di trovarci con le finestre aperte... ma le idee chiuse
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L’Italia è una Repubblica fondata... sul decoro da diretta televisiva?
C’è chi pulisce casa prima dell’arrivo degli ospiti. E poi c’è chi pulisce le coscienze, togliendo dal panorama cittadino quello che potrebbe disturbare l’occhio delicato della telecamera.
È successo a Putignano, in provincia di Bari, in occasione del passaggio del Giro d’Italia: la polizia ha chiesto a Sofia Mirizzi e alla sua famiglia di rimuovere una bandiera della Palestina dal proprio balcone. Non perché fosse illegale. Ma perché «sarebbe stata inquadrata dalle telecamere nazionali».
In Italia, a quanto pare, esporre un vessillo che rappresenta un popolo oppresso è diventato reato d'immagine. Non di legge, si badi bene. Perché nessuna norma vieta l'esposizione di bandiere su un balcone privato. Ma evidentemente basta una diretta Rai e un emblema ritenuto “scomodo” per trasformare un gesto pacifico in un’azione da censurare. In un Paese come il nostro nel quale, sembra fantapolitica ma è così, anche la libertà di stampa viene messa sotto attacco, con preoccupazioni riguardo all'accentramento della proprietà dei media e alle minacce ai giornalisti, come evidenziato nel Rapporto sullo Stato di Diritto 2025. E il tanto strombazzato «diritto fondamentale nell'ambito del contesto democratico»? Forse è fermo per foratura ad una ruota, opportunamente lontano dalle telecamere.
Libertà d’espressione: sportiva sì, ma solo se non suda
Il Giro d’Italia dovrebbe essere una festa popolare, una corsa che attraversa territori, storie, culture e – perché no – anche opinioni. Ma a Putignano si è corso un altro tipo di giro: quello di vite, verso il basso, della libertà di espressione.
Il messaggio è chiarissimo: esprimiti pure, ma solo se l’inquadratura è neutra. Che poi “neutra” è un termine curioso: significa tutto e niente, come “ordine pubblico”. Se protesti per Gaza, sappi che sei divisivo. Se metti una bandiera, sei sospetto. E se quella bandiera ha i colori della Palestina, ti arriva la visita della polizia. Nel frattempo, però, chi alimenta il conflitto vero – a suon di bombe, sanzioni e occupazioni – può continuare a godersi lo spettacolo. A distanza di sicurezza. Soprattutto dalla coscienza.
Il balcone è mio e ci metto la bandiera che voglio... almeno per ora
Il punto, qui, non è solo l'immane tragedia che colpisce Gaza. È la libertà, la legalità, la decenza democratica. Oggi ti fanno togliere la bandiera palestinese perché “non sta bene in tv”. Domani, forse, chiederanno di rimuovere la bandiera arcobaleno. Che si sa, anche l’orgoglio Lgbtq+ potrebbe turbare qualche sponsor... E dopodomani? Magari un drappo antifascista, un lenzuolo con scritto “Pace”, un messaggio per il clima, o una foto di Gino Strada. O di Ilaria Salis.
Tutto ciò che non rientra nell’“estetica” del Governo rischia di essere tagliato, come un brutto ciuffo prima della foto posata di classe.
Dopo ogni tempesta... arriva il giro
Certo, l’ironia vuole che proprio una corsa a tappe sia diventata simbolo di una democrazia che mostra di arrancare in salita, sotto lo sguardo silenzioso di cittadini troppo stanchi, troppo distratti o troppo impauriti per alzare la voce. Ma Sofia e la sua famiglia, con una semplice bandiera, hanno fatto più rumore di mille proclami. La speranza? Che qualcuno raccolga il testimone. Perché se le bandiere cominciano a dar fastidio, vuol dire che il messaggio sta passando. E anche se oggi piove repressione, l’arcobaleno, prima o poi, torna sempre ad illuminarci.