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Gotha, così «la ’Ndrangheta si è fatta istituzione». Gli scenari nella lotta alle cosche dopo il processo agli invisibili

Nell’ultima puntata del podcast, un’analisi inedita dei possibili successivi capitoli dell’inchiesta, con un’intervista a Klaus Davi che parla di un insolito «patto Stato-mafia». E i passaggi chiave della requisitoria del procuratore Lombardo con riferimento al rapporto tra i clan e la politica

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di Consolato Minniti
8 aprile 2024
06:15

Ci sarà un seguito dopo il maxi processo “Gotha”? È questo il tema portante della puntata conclusiva del podcast dedicato agli invisibili della ‘Ndrangheta. Una puntata che prende spunto dalle ultime parole pronunciate dal presidente del Collegio, Silvia Capone, la quale, nel dispositivo di sentenza annuncia l’invio degli atti in Procura per quanto di ulteriore competenza. Ma ciò che ci si domanda è: sulla base di quel che è emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale, c’è ancora spazio per approfondire degli ulteriori aspetti?

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Per capire quale sia l’attuale contesto della ‘Ndrangheta, abbiamo deciso di fare una chiacchierata con un giornalista che ha scelto di consumare le suole delle sue scarpe sulle strade di Reggio Calabria e, in particolare, del quartiere Archi. Parliamo di Klaus Davi, massmediologo di fama nazionale che ha fatto una panoramica inedita sullo stato attuale delle famiglie mafiose in riva allo Stretto, tracciando le differenze tra quanto accadeva negli anni in cui lui giungeva, quando ancora c’erano boss di un certo calibro a gestire le sorti della città, e quanto invece avviene oggi dove tutto appare decisamente cambiato. «La mafia continua a fare paura», afferma Davi, poiché «ci sono fatti che sono nella coscienza di tutti». Secondo il noto massmediologo «siamo in una ‘Ndrangheta 3.0 che non è più quella dell’hinterland milanese, ma che sta nei punti chiave della finanza». Ma della borghesia mafiosa, chiosa Davi, «si parla a Reggio Calabria, a Palermo, in Puglia, ma non al Nord». Quanto a “Gotha”, c’è assoluta condivisione perché «è una sentenza che dice tutto, che non nasconde nulla». Davi poi rimarca come Giovanni Falcone per primo avesse rimarcato il “machismo” delle mafie e il problema dell’omosessualità: «Forse uno dei veri patti Stato-mafia è stato quello di non affrontare questo argomento. L’omosessualità è simbolo di disprezzo sociale nel contesto mafioso e di non affidabilità. Ma poi c’è una doppia morale, con tanta gente che vive una doppia vita. Ma finché questo non deflagra…».


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Alle parole di Davi si associano quelle riferite nel corso della sua requisitoria dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, il quale, nel tracciare le ragioni basilari che hanno condotto fino al processo “Gotha”, afferma qualcosa di estremamente grave: «Abbiamo pagato tutti quella immedesimazione che ha trasformato la ‘Ndrangheta in una istituzione della Repubblica in questo territorio, annientando totalmente quello che è il compito di governo locale». E riporta il paragone con una sentenza del 1968, laddove già si parlava di un rapporto mafia-politica, «la cui conoscenza è quanto mai utile al giudice che voglia intendere a pieno di fatti delittuosi di natura mafiosa».

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«Quell’infame binomio – spiega il pm – viene portato all’attenzione del Tribunale di Reggio Calabria come un fenomeno esclusivamente mafioso, senza fare ricorso a artifizi verbali che tendano ad allontanare non ciò che è compenetrato, ma ciò che è parte integrante di un identico sistema criminale. Paolo Romeo sa che i De Stefano non possono fare politica diretta, ma sa che devono fare politica. E l’hanno fatta molto bene, non condizionando la città di Reggio Calabria, ma consentendo alla ‘Ndrangheta di divenire padrona assoluta di tutte le dinamiche pubbliche che caratterizzano questa comunità».

Dalle parole di Lombardo se ne trae come la ‘Ndrangheta sia in continua evoluzione. E allora l’interrogativo che abbiamo approfondito nell’ultima puntata del podcast riguarda proprio la possibilità che la magistratura possa andare oltre, scavando ulteriormente nel terreno dei riservati della ‘Ndrangheta, partendo proprio da quanto acquisito. Lo abbiamo fatto con il contributo dei giornalisti Giuseppe Baldessarro e Alessia Candito di Repubblica e Gianfrancesco Turano dell’Espresso, i quali hanno fornito punti di vista assai diversi, per certi versi addirittura antitetici. 

Giornalista
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