Dalla ragazzina di 14 anni che ha bisogno di parlare, alla nonna con la nipotina autistica. Le angosce e i problemi di una comunità che bussa per chiedere aiuto. Il presidente Mangiafave: «Intervenire prima che i problemi si cronicizzino»
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L’abuso di alcol è una dipendenza sempre più diffusa, soprattutto tra i giovani. Spesso si ritiene che sia un segno dei tempi, delle movide dilaganti, della sempre minore attenzione che famiglie e scuola dedicano agli adolescenti. E questo, certamente, è un aspetto del problema. Quello che non viene, però, tenuto nel giusto conto è che l’alcol per qualcuno diventa una forma di autoterapia.
«Ci siamo accorti che spesso nei minori coesistono due o più disturbi – dice lo psicologo, psicoterapeuta ed ex dirigentere psicologo all’Asp di Catanzaro, Luigi Pullia –, l’abuso di alcol spesso nasconde problemi di ansia, panico, depressione». Si chiama comorbilità questa coesistenza di uno o più problemi che intrappolano la vita di una persona, tante volte chiudendo le famiglie in un labirinto di solitudine e angoscia.
L’importanza dell’ascolto
«L’ascolto è importantissimo – dice Antonio Mangiafave, responsabile dell’associazione Gedeone Empowerment –, molto spesso arrivano da noi mamme stremate. Ci rendiamo conto che loro hanno bisogno di aiuto tanto quanto i figli per i quali vengono a chiedere un sostegno».
A questa piccola associazione nata a Lamezia Terme si rivolgono le famiglie – statisticamente il primo passo lo fanno le madri – che non trovano risposte nel pubblico e che non hanno i mezzi economici per accedere all’assistenza privata. L’associazione, al momento, è una sorta di terra di mezzo che accoglie, ascolta, crea gruppi di mutuo aiuto e fornisce il supporto dello psicologo cercando di andare incontro alle esigenze economiche delle famiglie.
Chi bussa a via Milite Ignoto
Al portoncino in via Milite Ignoto 52 a Lamezia Terme hanno bussato i casi più disparati: dalla ragazzina di 14 anni che si sentiva sola, diversa e incompresa, alla nonna alle prese con i problemi di una nipotina autistica.
Ci sono mamme sole con figli con ritardi mentali che non ricevono supporti sociali né dalla famiglia, né dai servizi pubblici.
«Il nostro progetto più grande – dice Antonio Mangiafave – sarebbe quello fare da coordinatori tra il cittadino e gli enti pubblici: i servizi sociali, il csm, la scuola. Vorremmo accompagnare chi presenta più problematiche nel percorso attraverso i vari enti che dovrebbero aiutarli. Perché spesso è un coordinamento che manca, un ponte tra la famiglia e il pubblico».
Presa in carico bio-psico-sociale
Il sogno, per il momento, è andato a infrangersi contro un sistema chiuso.
«I servizi – dice Mangiafave – non hanno un modello di lavoro comune come previsto dalla legge. La stessa Convenzione Onu sulla disabilità ci dice che la presa in carico di una problematica deve essere globale. Si parla di dimensione bio-psico-sociale». L’associazione Gedeone lancia l’allarme e, al momento, adopera i mezzi che possiede per aiutare i tanti che navigano a vista. «C’è bisogno di supporto emotivo per i genitori, c’è da infrangere lo stigma sulle dipendenze e sulla disabilità che incide moltissimo a livello culturale. Molte madri – ribadisce il responsabile di Gedeone – hanno bisogno di strumenti per aiutare se stesse. Oggi la depressione e i tentativi di suicidio nei giovani si registra già a partire dai 12 anni. È una generazione fragile».
“I sepolcri”
«Le famiglie – racconta Mangiafave – spesso intraprendono un percorso che io chiamo “i sepolcri”: prima medico di base, poi il neurologo, poi l’endocrinologo. Non ci si accorge che la presa in carico deve essere multidisciplinare, che c’è un bisogno primario che spesso nasconde il secondario. L’esempio è l’uso di alcol o droghe che nasconde l’ansia o una malattia psichiatrica. Altro esempio che ci è capitato: il caso di un ragazzo dislessico che non sapeva di esserlo, andava in ansia e si aiutava a gestirla con le dipendenze. A volte alla base di tutto ci sono problemi pratici, come la perdita del lavoro di un genitore. Ecco perché l’approccio al problema deve essere multidisciplinare. Se trascurati i problemi si cronicizzano».
Fare rete
La prima cosa che il progetto Gedeone fa è una valutazione complessiva del problema. L’ascolto. «Poi si lavora per cercare la soluzione migliore. Una cosa è certa: la conflittualità è inutile. L’unica soluzione è fare rete».