La visita

La piccola comunità di San Martino di Finita accoglie il presidente albanese Begaj: «Tutelate lingua e tradizioni»

FOTO | Giornata storica nel paesino fondato alla fine del 1400 da profughi in fuga dall'invasione dei turchi, che oggi lotta contro lo spopolamento. A dare il benvenuto all'illustre ospite anche l'arcivescovo di Cosenza Bisignano monsignor Giovanni Checchinato

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di Emilia Canonaco
3 maggio 2024
09:08

Sono lontani i tempi in cui la tromba suonava prima dell’ultima curva e la corriera annunciava il suo arrivo nella piazza del paese. Quando a sera ripartiva da San Martino di Finita diretta a Cosenza, capitava che una nonna consegnasse nelle mani dell’autista la pizza appena sfornata per i nipoti: «Mi fate la cortesia di metterla sotto al sedile? Verranno a prenderla alla stazione dei pullman».

A San Martino di Finita, l'anno scorso, è nato un bambino soltanto. Da gennaio fino a oggi, invece, sono già morte sette persone. Gli abitanti rimasti, oramai, raggiungono a malapena i trecento. Una dopo l'altra, le corse sono state cancellate: gli autobus viaggiavano quasi vuoti e mantenere i vecchi collegamenti non aveva più alcun senso. Il sindaco Paolo Calabrese si batte per l'istituzione di una navetta che colleghi il paese con Torano: gli studenti, altrimenti, continueranno a tornare a casa alle quattro del pomeriggio.


Lina Pisani, 74 anni. Prima di uscire da casa, ha indossato il mantello di velluto blu che contraddistingue i soci della confraternita "Misericordia" e adesso è seduta su un muretto di cemento che costeggia l'unica strada del paese: «Senza i nostri antenati venuti dall'Albania, adesso non saremmo qui».

Dodici focolai, uno per ogni famiglia, diedero inizio al primo insediamento da cui sarebbe poi sorto il paese di San Martino di Finita. Succedeva alla fine del 1400 e i turchi ottomani avevano appena occupato l'Albania. Protetti da queste montagne, i profughi si sentivano finalmente al sicuro. Il fiume Finita non ha mai smesso di correre e adesso che la tromba della corriera è diventata silente, sembra quasi di sentire lo scroscio della sua acqua.

Filomena è una farmacista. Lavora a Torano e vive a Rende con i genitori. Al posto del solito camice bianco, indossa il tradizionale abito nuziale di colore verde, tutto ricamato d'oro: «Anche se abito da un'altra parte, torno a San Martino di Finita almeno un paio di volte alla settimana perché questa rimane sempre la mia vera casa». Con il gruppo etnico-musicale di cui fa parte, ha visitato l'Albania. Stavolta, però, è lei che dirà "mire se vjen" (benvenuto).  

A San Martino di Finita la festa ha il suono secco e ritmato dei tamburi di Ugo Sala. Oggi ha scelto quelli più belli e per l'occasione c'ha messo sopra la bandiera rossa con l'aquila nera. Quando il corteo presidenziale arriverà davanti al Municipio, lui chiuderà gli occhi e la musica, come sempre, verrà da sé. 

Monsignor Giovanni Checchinato, arcivescovo di Cosenza Bisignano, ha accolto con piacere l'invito del parroco don Giuseppe Leone e ora se ne sta mischiato nella piccola folla, senza troppe pretese. Quando un gruppo di ragazze prende a intonare un canto in lingua albanese, il vescovo immortala il momento col telefono e spiega: «Fu la chiesa latina a impedire ad alcuni paesi albanesi di adottare il rito greco bizantino». A San Martino di Finita dev'essere andata così.

C'è voluta una strada costruita nel finire degli anni Cinquanta per accorciare le distanze tra la frazione italiana di Santa Maria le Grotte e il resto del paese. La storica rivalità e la reciproca diffidenza lasciarono spazio al dialogo e alla contaminazione. Il sindaco Paolo Calabrese ammette di non parlare una sola parola di albanese e ricorda: «Cominciammo a frequentare le scuole di San Martino di Finita, imparando un po' alla volta a sentirci parte di un'unica comunità». 

Il presidente della Repubblica albanese Bajram Begaj ammira la bellezza dei faggi e dei castagni, stringe la mano del sindaco e si china davanti ai bambini che lo acclamano festosi. Raccomanda: «Dovete tutelare la lingua, la cultura, gli abiti e le tradizioni». E aggiunge: «Come diceva Skanderbeg, uniti siamo più forti».

Poi, raggiunge a piedi la chiesa del Borgo fondata dai profughi albanesi e riceve dalle mani del priore della Confraternita Marco Tocci il quadro raffigurante la Madonna della Misericordia: scampati al terribile terremoto del 12 febbraio 1854, i sammartinesi sfidarono una tempesta di neve e si radunarono in preghiera ai piedi della statua.

Le note di un canto struggente suggellano la fine di una giornata storica e indimenticabile.

 

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