Anche nella nostra regione la pandemia ha lasciato una scia di vittime che sembra non finire mai. Ecco come sono trascorsi dodici mesi da dimenticare
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Un anno che ha cambiato profondamente le nostre abitudini e il modo di rapportarci a chi ci sta intorno, dodici mesi scanditi da colpi mortali alla sanità, all’economia, alla società, alla serenità di chiunque. Fare un bilancio del 2020, uno dei momenti più sconvolgenti dal secondo dopoguerra a oggi, sembrerebbe un’operazione semplice, racchiusa in una sigla scientifica che ha invaso il mondo intero: Covid-19.
Eppure quell’acronimo ha dato vita a un sistema complesso che ha modellato ogni singolo istante della vita di ognuno di noi, ha introdotto un nuovo modo di vivere, contrassegnato da mascherine, distanziamento, solitudine; ma soprattutto ha fatto capire all’essere umano quanto sia vulnerabile, come gli eventi possano precipitare in poco tempo, come ogni certezza possa crollare di fronte all’imprevedibilità della vita.
Naturalmente, neppure la Calabria è stata risparmiata da tutto questo sconvolgimento: ha versato e continua a versare il proprio tributo di sangue con centinaia di morti, sin dall’inizio, sin da quando le speranze di immunità a una situazione che stava sconvolgendo il Nord Italia si sono sgretolate di fronte al primo contagio ufficiale: è il 19 febbraio, quando a Cetraro viene individuato quello che sarebbe diventato il Paziente uno per la nostra regione.
Dopo poche settimane si concretizza la tragedia: la prima vittima, un 63enne di Montebello Jonico. Da allora un crescendo di ricoveri e decessi, lontani, in realtà, dall’ecatombe settentrionale, ma un bilancio comunque molto pesante. Alla fine della prima ondata sono 97 i morti.
Poi l’estate balorda, senza distanziamenti e mascherine, contrassegnata da assembramenti in spiaggia, in discoteca, nelle città e nei paesi, dove i mesi precedenti sembrano solo un lontano ricordo e si pensa di aver sconfitto il virus che, però, continua a strisciare silenzioso.
Le conseguenze si manifestano il 5 settembre con il primo decesso della seconda ondata che apre le porte al collasso della sanità regionale, già martoriata da decenni di tagli e sprechi. E così, davanti agli occhi dei calabresi vanno in scena le ambulanze in fila fuori dagli ospedali, i pronto soccorso pieni all’inverosimile, i nosocomi fantasma che avrebbero potuto evitare le tende da campo, simbolo di una Calabria che diventa zona di guerra. In mezzo la necessità di istituire la zona rossa per parametri fuori dai range di riferimento, ennesima sconfitta del sistema sanitario, che si riflette su un’economia già fragile in precedenza, ma ormai in rianimazione. I negozi e le imprese costrette a chiudere definitivamente non si contano, i nuovi poveri aumentano, le associazioni umanitarie diventano punti di riferimento per migliaia di calabresi che inghiottono bocconi amari con dignità e compostezza, ma guardano al futuro con un senso di precarietà che sembrava lontano dalle loro vite.
È la speranza invece ad accompagnare l’ingresso nel 2021, un nuovo anno che potrebbe essere l’alba di una rinascita, grazie all’apporto del vaccino anti Covid. La campagna, partita con il coinvolgimento dei sanitari, si estenderà presto alle categorie più deboli, quelle che più di ogni altra hanno pagato lo scotto di questa ingestibile pandemia. Nel frattempo, però, in molte case a Capodanno non ci sarà nulla da festeggiare nell’osservare in silenzio una sedia vuota.