Anno giudiziario a Reggio: «’Ndrangheta e grumi di potere inquinano istituzioni»

Nella sua relazione il presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis tocca tutti i temi più scottanti: dalle strutture carenti, al personale che manca; dai giudici che scappano al problema della criminalità e di quei centri di potere che rendono l’ambiente non limpido

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di Consolato Minniti
1 febbraio 2020
09:01
L’inaugurazione dell’Anno giudiziario a Reggio
L’inaugurazione dell’Anno giudiziario a Reggio

«Inquieta la sola prospettazione di grumi di potere oscuro, sommerso e trasversale che inquinano le istituzioni nella ricerca di consensi con metodi e finalità che deformano lo stesso funzionamento della democrazia». Sono parole forti quelle utilizzate dal presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria, Luciano Gerardis, nel corso della tradizionale cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, vissuta questa mattina nell’auditorium della Scuola allievi carabinieri di Reggio Calabria.

 


Gerardis, ormai da anni, ha deciso di anticipare il momento dell’inaugurazione con un appuntamento nel giorno precedente. Anche ieri lo ha fatto con un teatro Cilea gremito in ogni ordine di posti per vivere un pomeriggio dedicato sì alla legalità ma soprattutto al confronto con i cittadini. Oggi, invece, il rito che si rinnova ogni anno e che permette al presidente della Corte d’Appello di fare il punto sulla situazione nel distretto giudiziario reggino.

Problemi atavici

È a disagio, il massimo rappresentante della Giustizia in riva allo Stretto. Ciò nasce dal «dover ripercorrere per lo più passaggi assolutamente analoghi a quelli degli anni precedenti». Ma siccome non si può tradire la realtà, Gerardis decide di affrontare di petto ogni singola problematica. A partire dal momento che Reggio Calabria sta vivendo. «Qui i nostri intendimenti, le nostre stesse attività inciampano spesso in una cruda realtà fatta di assenze o intempestività delle risposte altrui, ascrivibili anche a burocratismi ed a resistenze varie». Non cambiano i problemi da risolvere, come ad esempio il nuovo palazzo di Giustizia: «Permane il rammarico – spiega Gerardis – di non poter ancora utilizzare una nostra sede a seguito delle difficoltà insorte fra l’amministrazione comunale e l’impresa aggiudicataria dei lavori per la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia». Ma non solo. Le difficoltà si riscontrano anche al Cedir ed in Corte d’Appello. «Al Cedir – rimarca il presidente – solo da pochissimo tempo si è faticosamente avviato a soluzione il trasferimento di faldoni che da anni ingombrano i corridoi con il rischio di ostacolare in casi di emergenza la rapida evacuazione degli ambienti; e dove continuano a non funzionare adeguatamente il riscaldamento e il condizionamento dell’aria». Non va meglio la situazione a piazza Castello: «Si cerca di portare avanti il restauro e il rinnovamento del palazzo, sede di questa Corte; le indispensabili riparazioni degli edifici utilizzati dal Tribunale di sorveglianza e da quello per i minorenni; la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia di Locri».

Reggio capitale della ‘ndrangheta

Gerardis sa bene che può apparire uno stanco ritornello. Ma non può esimersi dal ricordare una «drammatica verità»: Reggio è la capitale storica ed attuale dell’organizzazione criminale chiamata ‘ndrangheta, «che per pervasività, capillarità, ramificazioni interne ed internazionali e potenzialità delinquenziale è unanimemente ritenuta una delle più pericolose, se non la più pericolosa, del mondo». Il presidente della Corte d’Appello tocca il nervo scoperto del problema: «Il susseguirsi di procedimenti a carico delle varie cosche dimostra l’impressionante consistenza numerica dei suoi affiliati ed il coinvolgimento sempre più inquietante di parti di istituzioni, centri di potere, professionisti in aggregazioni torbide di affari, che producono effetti distorsivi su tutti i terreni, giudiziario, economico, sociale e finanche culturale».

I procedimenti pendenti

I dati snocciolati da Gerardis sono piuttosto eloquenti. Attualmente pendono nelle sole sezioni penali dibattimentali della Corte d’Appello ben 143 procedimenti di competenza della Dda, con 809 imputati; il tribunale distrettuale ha in corso di trattazione 122 analoghi procedimenti nella sezione gip-gup, e 51, di cui 18 maxi, dinanzi alla sezione dibattimentale con 637 imputati; il tribunale di Palmi sta trattando in fase dibattimentale 40 processi Dda ed il tribunale di Locri 14. «Insomma – spiega il presidente – complessivamente i procedimenti di competenza della Dda pendenti negli uffici giudicanti del distretto, a prescindere da quelli in carico alle Corti di Assise di entrambi i gradi, sono ben 356 con centinaia e centinaia di imputati detenuti». Cosa comporta tutto ciò? Un problema molto serio: tutti gli altri processi penali accusano ritardi notevoli ed anche quelli civili (dovendo i giudici essere applicati a quelli penali per evitare incompatibilità) sono in forte ritardo, dando l’impressione di una amministrazione della giustizia insufficiente.

Nessuno vuole venire a Reggio

L’amara considerazione di Gerardis parte dall’assunto che «deserti vanno i bandi ordinari per la stragrande maggioranza dei posti scoperti; e solo attraverso il ricorso, ove attuabile, alla procedura prevista per le sedi disagiate si è riusciti ad ottenere il trasferimento presso alcuni uffici di primo grado di pochi magistrati». Una circostanza ancora più grave è che «scarsi risultati diano anche i bandi per applicazioni extradistrettuali, che pure garantiscono una durata ben minore di un ordinario trasferimento: malgrado siano stati banditi, con provvedimento straordinario, ben 10 posti del tribunale di Reggio Calabria e per ben tre volte 2 della Corte di Appello, sono infine risultati coperti soltanto tre posti di primo grado». La riflessione è molto eloquente: «Duole prendere atto che, malgrado le reiterate sollecitazioni, a diverso avviso non induca neanche, contrariamente a quanto accaduto in passato per altre sedi, la consapevolezza di poter concorrere ad affrontare uno dei problemi più drammatici, come il contrasto alla criminalità organizzata, che pure da tutti viene reiteratamente riconosciuto come una delle priorità assolute nazionali. Purtroppo, non si è ancora riusciti a far comprendere come il contrasto alla ‘ndrangheta sia un grande problema dell’intero Paese, che ormai ne è pervaso, se essa corrode la stessa democrazia nei metodi di ricerca del consenso, nella libera composizione di assemblee elettive, nelle regole del libero mercato». Non manca anche un fenomeno inedito: «Ben 6 magistrati originari del distretto sono stati trasferiti altrove a domanda, a dimostrazione di quanta sofferenza importi la permanenza nei nostri uffici anche per chi è da sempre radicato in questo territorio».

Un ambiente difficile per le relazioni

È un altro tasto assai dolente quello toccato da Gerardis e riguarda la problematica delle relazioni dei magistrati. C’è una oggettiva «difficoltà di relazionarsi con un ambiente esterno non sempre affidabile e potenzialmente inquinante». Il presidente fa autocritica: «Prendiamo atto, purtroppo, che il biglietto da visita che presentiamo all’esterno è quello non della città “bella e gentile” che vorremmo, ma di una società profondamente deturpata dalla presenza ‘ndranghetista. La mitezza del clima, la straordinaria bellezza dei paesaggi, il fascino del mare e delle coste, il forte richiamo dell’Aspromonte, la rilevanza della nostra storia non compensano in alcun modo un ambiente opaco che, malgrado tutti gli sforzi, non riesce a liberarsi dal cancro mafioso, ma neppure a porre netti e ben distinguibili confini tra l’integro e il marcio, eliminando quelle zone ibride dove si mescola il puro con l’impuro». Esiste, dunque, una preoccupazione di base del magistrato che proviene da fuori: «Salvaguardare la propria immagine, evitando rischi di indebite compromissioni». Finendo così per vivere un isolamento dal contesto sociale che non gli agevola la vita quotidiana. «Ora – ammette Gerardis – che questa sia l’immagine sfregiata che Reggio Calabria offre di sé, malgrado tutto quanto di positivo si riesca a creare, è, ahimè, un dato innegabile». Del resto, tuttavia, è incontestabile che «ancora non si siano eliminate commistioni tra ambienti malavitosi ed appartenenti ad istituzioni, ordini professionali, mondo economico e potere politico, e ciò dà l’idea di una poltiglia vischiosa che tutto contamina».

Non è la magistratura a dover “salvare il mondo”

Che fare, dunque? «Occorre darsi carico di questi problemi, tutt’altro che nuovi, portando finalmente a compimento un processo di riscatto dell’intero territorio. Attenzione, però. Bisogna rifuggire da un effimero pangiustizialismo, fuorviante e pericoloso, che vorrebbe affidare agli organi giudiziari la creazione del miglior mondo possibile. Non spetta alla magistratura un simile compito, né è possibile credere che essa, da sola, possa trasformare la società. Se il cittadino resta spettatore invece che attivo protagonista, è arduo ipotizzare il cambiamento che pure auspica». Gerardis fa un appello alla politica: recida i legami con ambienti criminali e risolva i drammatici problemi economici.

No ai centri di potere, sì al dialogo

Gerardis, allora, pur comprendendo le preoccupazioni di chi «deve continuare a vivere una realtà non nitida che costringe alla massima allerta» e sottolineando come «la giusta esigenza di essere ed apparire imparziali importa che ci si debba tenere lontani da centri di potere inquinanti, non frequentare soggetti di dubbia fama, non partecipare ad aggregazioni la cui appartenenza può dare anche l’impressione di inammissibile perdita di trasparenza, indipendenza e terzietà», tiene a rimarcare che «non si debbano recidere i rapporti con la società, con cui va mantenuto un dialogo costante. Non un monologo, ma un dialogo, con l’umiltà di ascoltare esigenze e percezioni della gente comune».

Giornalista
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