Il cardinale Krajewski ha tagliato il nastro per i nuovi container regalo del Pontefice: «Sembra una goccia nel mare, ma è un modo concreto per dare una mano». Ma nel ghetto i problemi restano. L’imam presente: «Qui fa freddo, piove dentro le tende e a distanza di anni c’è chi non riesce ad avere i documenti»
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«Può sembrare solo una goccia nel mare, ma è un modo concreto di dare una mano. È stato Papa Francesco a volere fortemente questo intervento per restituire un po’ di dignità a queste persone che vivono in condizioni di estremo disagio». C’è il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, a tagliare il nastro dei due nuovi container installati nei giorni scorsi all’esterno della tendopoli di San Ferdinando e inaugurati mercoledì. Un’iniziativa portata avanti dalla Caritas di Oppido-Palmi e finanziata direttamente dal Pontefice che ha consentito la messa in opera di un locale adibito a lavanderia e di uno che contiene sei docce con acqua calda, una specie di miracolo da queste parti.
«Ora, grazie all’aiuto dei mediatori culturali, bisogna spiegare agli abitanti della tendopoli – ha detto la prefetta di Reggio Clara Vaccaro – che queste attrezzature appartengono a loro, sono loro e l’utilizzo di docce e lavatrici è completamente gratis. Ora sta a loro il compito di prendersene cura affinché durino nel tempo. E perché no, mi piacerebbe trovarle abbellite la prossima volta, magari con dei vasetti con i fiori». I due nuovi container vanno a sommarsi ad altri due moduli con docce che erano stati devastati negli anni passati e che sono stati restaurati e rimessi in funzione nelle settimane passate, all’interno del campo.
Nel corso della breve cerimonia di inaugurazione, a cui è seguito un momento di raccoglimento comune tra il cardinale e l’imam della tendopoli, il vice presidente della Cei Francesco Savino ha ricordato la condizione di estremo disagio vissuta dagli abitanti della tendopoli che sorge alle spalle del porto di Gioia, richiamando il dramma dei migranti che ogni giorni perdono la vita nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa e un futuro migliore. Il presente dei migranti di San Ferdinando però (almeno per quelli che continuano ad arrivare sempre più numerosi ogni giorno con le campagne di raccolta di mandarini e kiwi ormai ampiamente avviate) è sempre lo stesso da circa venti anni. La tendopoli (sorta in sostituzione della baraccopoli rasa al suolo nel 2017 in favore di telecamera) è cresciuta all’inverosimile negli ultimi anni, peggiorando drammaticamente in seguito alla pandemia, quando l’intero sito fu bollato come zona rossa.
Durante la cerimonia di inaugurazione, qualcuno dei residenti della tendopoli esce per ascoltare i discorsi delle autorità e si unisce alla preghiera comune, ma per il resto della popolazione della tendopoli (almeno 17 le nazionalità presenti nel campo) quella di mercoledì è una giornata come le altre. Chi stende i panni sulla rete di recinzione, chi si prepara il pranzo, chi semplicemente si riposa dopo una mattinata nei campi: gli interventi caritatevoli da parte della Caritas e delle associazioni di volontariato (nel campo lavorano, due volte la settimana, anche i medici di Medu e quelli di Emergency) non sono una novità da queste parti ma i problemi restano gravi. È l’imam della tendopoli ad elencare quelli più evidenti prendendo il microfono per ultimo, quando ad ascoltarlo sono rimasti in pochi: «La luce salta continuamente – ha raccontato – anche ieri sera è andata via ed è tornata solo stamattina. E poi fa freddo, le nostre tende sono tutte bucate e piove dentro. Il freddo è arrivato e vivere in quelle tende in rovina si fa sempre più difficile. E poi c’è il problema dei documenti che bisogna risolvere al più presto. Qui c’è gente che a distanza di anni non riesce ad avere un documento nonostante ne abbia diritto, e così è impossibile anche scegliere il medico di famiglia».
Ripulito per l’occasione dalla montagna di rifiuti che normalmente ne fa da cornice, lo stradone del retroporto che conduce alla tendopoli è un via vai di migranti di ritorno dai campi. Al momento sono più di 600 (ma è difficile avere una stima precisa dei presenti) le persone ammassate in un sito che era stato pensato per ospitarne meno di 200. Dormono in tende logore e in capanne improvvisate cresciute una sull’altra come in una favelas sud americana, collegate le une alle altre alla linea elettrica (ripristinata solo nelle ultime settimane) da prolunghe improbabili che rendono il rischio incendio sempre presente. I due nuovi container con docce e lavatrici daranno un po’ di sollievo alle condizioni subumane in cui sono costretti a vivere i migranti di San Ferdinando. Ma è solo una goccia nel mare.