La storia di Francesco: 94 anni, la passione per i presepi e tanti sogni nel cassetto

VIDEO | Ex maestro elementare, è originario di Palmi ma vive da anni a Scalea. Vorrebbe allestire una mostra con le sue creazioni, intanto ne costruisce a decine e recita poesie

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di Francesca  Lagatta
5 gennaio 2021
19:24

«Devo dire che ho un po' male alle ginocchia, a volte mi stanco, ma mentalmente sono lucido. Sono un ancora un ragazzino». Francesco Costa, ex maestro di scuola elementare, deve aver bevuto l'elisir della giovinezza, perché per lui il tempo sembra essersi fermato. Originario di Palmi, ma da molti anni residente a Scalea, Francesco sta per compiere 94 anni, eppure, a sentirlo parlare e progettare il futuro, l'età appare come un numero insignificante. «Ho ancora tante cose da fare», ci dice, caso mai non fosse chiaro, e d'altronde ne ha tutto il tempo: non solo sta già immaginando la festa dei suoi 100 anni, il suo obiettivo, afferma con un pizzico di ironia, è arrivare a 118 anni. Francesco, per di più, è un artista. Da trent'anni costruisce presepi e la particolarità è che lo fa su qualunque tipo di supeficie o materiale, in una campana di vetro, su un vassioio di argento, in una scatola per le medicine o in una vecchi sveglia. Tutto è costruito a mano e curato nei dettagli.

La passione per i presepi

La prima volta che ha costruito un presepe risale a 30 anni fa. Ha cominciato quando, per caso, un giorno si è imbattuto in una pietra con la forma di una Madonna, trovata sulla spiaggia. Da allora non ha più smesso. Dal 1° di ottobre scorso agli inizi di dicembre ne ha costruiti ben dieci. Otto li conserva ancora nel soggiorno di casa sua, due li ha regalati ad altrettanti amici. Tutti gli altri sono conservati in scatoloni e in uno di questi ce n'è uno lungo quattro metri.


La passione per la poesia

Nella vita di Francesco c'è spazio anche per altre passioni, la poesia, ad esempio, che recita ancora con lucidità disarmante. «Ne ho scritte molte in passato - ci dice -, ora non ne compongo più, ma le ricordo tutte». La sua memoria è ancora di ferro. «Ogni tanto, diciamo, capita che io dimentichi qualcosa, ma niente di importante».

Rita, l'amore della sua vita

Nonostante la voglia di vivere e di scherzare, Francesco si porta dentro un grande dolore: la morte di sua moglie Rita. La donna è venuta a mancare sei mesi fa, quando era già da tempo ricoverata in una rsa. L'arrivo della pandemia ha impedito ai due coniugi di stare vicini negli ultimi giorni di lei e Francesco non sa farsene una ragione. «Siamo stati sposati per 70 anni. Il giorno che è morta mi hanno concesso di vederla - dice -. Ho provato a tenerle strette le mani per non lasciarla andare via, ma erano fredde, se n'era andata». La madre dei suoi figli continua a essere il suo cruccio: «Era una donna straordinaria e sempre con il sorriso», afferma con voce tremante, mentre accarezza le foto di sua moglie.

Il dramma della Seconda guerra mondiale

Francesco è nato alla fine degli anni '20 dello scorso secolo, in piena epoca fascista. Quando era solo un adolescente, si è trovato a fare i conti con i drammi della guerra. «Ricordo tutto perfettamente. Insieme ai miei fratelli ci affacciavamo sul balcone per vedere i razzi che squarciavano il cielo, ma all'inizio non ci eravamo resi conto di quello che stava succedendo. Non c'era la tv, non leggevamo i giornali, ogni tanto ascoltavamo Radio Londra. Poi un giorno qualcuno ci disse che noi potevamo stare tranquilli perché eravamo di razza ariana. Ma che voleva dire essere di razza ariana? Non sapevamo niente». Poi continua: «Abbiamo saputo solo molto tempo più tardi delle persecuzioni agli ebrei. La guerra è una cosa molto brutta. Avevamo il cibo razionato, ognuno aveva una tessera personale, ma nei negozi non c'era nulla, quasi mai trovavamo del cibo». Ma con Francesco e i suoi fratelli, per fortuna, c'era il nonno: «La sua parte di pane non la mangiava mai. Lo conservava nelle cassette degli attrezzi. Poi ogni tanto lo tirava fuori insieme alla carne per farla mangiare a noi nipoti, ed era festa. Era veramente una festa».

La pandemia

Per tutto il tempo dell'intervista Francesco tiene la mascherina in volto. «La tengo per proteggere voi - ci dice -, la gente ancora non ha capito quanto è importante in questo momento. In strada ho visto dei ragazzini che non la portavano, mi sono arrabbiato, sa? Gli ho detto: ma perché non volete metterla la mascherina, che vi costa?». Così il discorso verte inevitabilmente sulla pandemia mondiale del coronavirus. «Portare la mascherina è solo un piccolo sacrificio, un niente in confronto a quello che si pativa durante la guerra». I suoi occhi tradiscono commozione. «Una delle cose più tristi di quei periodi erano le sirene. Quando le sentivi dovevi scappare nei sotterranei, non avevi scelta».

Lo sguardo sul futuro

Ma Francesco non si è lasciato abbattere nemmeno allora. «Ho studiato e sono diventato un maestro di scuola elementare. Mi piaceva tanto. Il lavoro è stata la mia unica preoccupazione. Uscivo da scuola e dopo il pranzo, che mi aveva preparato la mia Rita, andavo a dare lezioni private». Poi, dopo 43 anni di servizio, è andato in pensione e si è dedicato anima e corpo alle sue passioni. «Mi piacerebbe fare una mostra dei miei presepi». L'avrebbe allestita quest'anno se non ci fosse stata la pandemia a tenere le vite di tutti in sospeso. «Passerà e faremo ogni cosa». Mal che vada ci si vedrà alla festa dei 100 anni. «Guardi, signorina, che voglio le telecamere alla mia festa, non può mancare».

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