Per Labate il giornalismo meglio dei social: «Premiata l'accuratezza»

VIDEO | Firma del Corriere della Sera e volto noto della tv, il giornalista originario di Marina di Gioiosa Jonica in una intervista spiega il senso delle parole nella pandemia e con nostalgia afferma: «Per prima cosa quando cadranno le restrizioni tornerò in Calabria»

di Agostino Pantano
21 aprile 2020
13:42

«Il coronavirus sarà sulle prime pagine dei giornali per almeno altri due mesi ma, essendo questa una maratona lunga, non c’è da essere certi nemmeno su questo».

È realista Tommaso Labate, giornalista originario della Calabria e firma del Corriere della Sera, che solo con fatica esterna un po’ di ottimismo.

«Ci poteva andare peggio e non è escluso che non ci possa andare peggio – prosegue nella intervista che ci ha concesso via skype – ecco perché la parola chiave anche nelle future fasi dovrà essere ancora consapevolezza.

Fin qui il combinato disposto tra la scelta di chiudere, fatta dal governo, e il senso di responsabilità del paese ci ha salvati”. Volto noto della tv nazionale, da qualche tempo anche “voce” di Radio Rai, Labate spiega come a suo parere in questa fase complicata il giornalista abbia dato prova di accuratezza. «Non c’è dubbio – prosegue – che la stampa abbia vinto rispetto ai social perché il pubblico ha capito la fatica che c’è dietro la verifica delle notizie. Basti guardare alla curva discendete degli audio anonimi che all’inizio della emergenza giravano tramite whatsapp: oggi nessuno gli da più credito».

Il racconto della pandemia attraverso le parole dei media, a parere di Labate, ha aiutato il potere pubblico a pretendere quel senso di responsabilità che è stato necessario. «Abbiamo usato le parole giuste – nota il giornalista originario di Marina di Gioiosa Jonica – perché è vero che questa non è propriamente una guerra, visto che affrontiamo la sfida al contagio stando a casa, ma è pur vero che ognuno di noi si è sentito investito di un ruolo che assomiglia a quello dei generali».

Il suo isolamento a Roma lo giudica “fortunato”, nel senso che ha potuto muoversi per lavoro e la mancanza di libertà negli spostamenti gli ha pesato di meno, ma quando gli chiediamo se ha pensato a quale sarà la prima azione da fare non appena cadranno i divieti, non ha dubbi e a fatica trattiene un po’ di emozione: «Tornerò in Calabria perché per me non poter tornare dalla mia famiglia è stato un fardello pesante, forse l’unica vera restrizione difficile da sopportare».


Giornalista
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