Lamezia, il pontile da 200 miliardi di lire dove nessuna nave ha mai attraccato

VIDEO E FOTO | Avrebbe dovuto essere il simbolo del rilancio del Sud. Un sogno durato poco che ha lasciato sulla costa del Golfo il suo spettro e l'ennesima incompiuta calabrese

di Tiziana Bagnato
16 febbraio 2021
19:25

Il pontile dell’ex Sir, ormai è un ecomostro, un colosso di ferro e ruggine rimasto insabbiato nell’arenile e per metà affondato nel golfo di Sant’Eufemia. Venne eretto nel 1971 come base di attracco per le navi che avrebbero dovuto consentire il fruttuoso traffico economico legato all’impianto chimico che stava nascendo.

Un nome prestigioso all’epoca quello della Società Italiana Resine: nata negli anni Trenta fu la prima azienda, in tutto lo Stivale, ad avviare la produzione di polveri da stampaggio fenoliche, resine fenoliche, e avviando poi la produzione di resine per vernici. Un’operazione monumentale quella messa in atto sulla Calabria e su Lamezia: 230 i miliardi di lire attinti dal cosiddetto pacchetto Colombo, dal nome del primo ministro dell’epoca, per finanziare il complesso industriale.


Lamezia doveva diventare il punto di rilancio industriale dell’intero Sud, tanto che si fecero sentire i malumori degli agricoltori dell’epoca, preoccupati si andasse a minare un’area rinomata proprio per la sua vocazione agricola e dall’esproprio dei loro terreni. Sarebbe stato il primo di uno dei tanti sogni ad occhi aperti vissuti dalla Città della Piana.

La "leggenda" della Sir

La sola Sir avrebbe dato, era stato prospettato, lavoro a 2355 persone. Una manna dal cielo per un territorio avido di opportunità negli anni in cui dalla Calabria si partiva alla volta delle ciminiere del Nord. E da quel Nord venne l’industriale Nino Rovelli con l’incarico di coordinare l’intera operazione. Era considerato un uomo d’affari spregiudicato e dall’occhio lungo Rovelli: aveva rilevato la Sir e ne aveva fatto il terzo gruppo chimico italiano dopo Eni e Montedison.

Il fallimento

Ma l’avventura durò poco. Tra vicende giudiziarie, tangenti e risvolti da pellicola, la Sir chiuse i battenti in Italia nel 1981, in Calabria molto prima. Non a caso il pontile rimarrà un simbolo: da quello del riscatto a quello dell’abbandono. In quello specchio d’acqua non attraccherà mai nessuna nave e tutti i disegni di riconversione nel tempo si dimostreranno parole al vento.

Il crollo e le indagini per inquinamento

Sull’arenile lo scheletro del pontile resistette per anni all’usura del tempo e del sale. Piccoli crolli si susseguirono fino a che nel 2012 non ne avvenne uno più corposo che fece da spartiacque. La struttura venne sequestrata dalla Procura e ne venne vietato l’accesso. Diventato nel tempo meta di curiosi, fotografi e pescatori, fu solo un miracolo che non ci fossero state vittime.

Ma non solo. Il cedimento diventa l’occasione per effettuare delle analisi nelle acque in cui la banchina è calata e i risultati fanno accapponare la pelle: alte percentuali di diossina, forte inquinamento. Per anni Stato, Provincia e Comune si rimbalzano le competenze sull’urgente bonifica alla quale provvedere e che alla fine non farà nessuno.

Il presente

Le associazioni ambientaliste di tanto in tanto alzano la voce su quella zona industriale, che nel frattempo è diventata una delle più grandi del Mezzogiorno, e il fatto che sia a ridosso di un’area protetta da vincolo paesaggistico. Dall’altro lato c’è chi, invece, addossa proprio al vincolo lo sviluppo monco della zona e vuole eliminarlo. Negli anni i casi di inquinamento ambientale nella zona diventano una costante delle cronache, mentre il pontile rimane al suo posto, lanciando di tanto in tanto sinistri cigolii che si perdono nel vento del Golfo di Sant’Eufemia.

Poche settimane fa l’ultimo “scandalo”. Accanto al pontile scorre il torrente Turrina in cui sversa il depuratore consortile le cui acque poi confluiscono in mare. Un’inchiesta della Procura di Lamezia Terme scopre che l’azienda Ilsap fa confluire i propri scarti industriali nel depuratore e da qui, quindi in mare. Le acque vengono analizzate e viene trovato arsenico, manganese, ferro. Un meccanismo rodato che andava avanti da anni, secondo la Procura, e che spiegherebbe quella costa lametina spesso e volentieri bagnata da acque sporche, verdastri e oliose. Tutto attorno un’area industriale cresciuta, 1000 ettari totali, 90 aziende, 1500 impiegati. Ma le lacune e le ombre sono tante.

Giornalista
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