Processo “Black money”, non regge l'associazione mafiosa per i Mancuso

La Corte d’Appello di Catanzaro conferma il verdetto del Tribunale di Vibo Valentia. Solo sei le condanne

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di G. B.
12 novembre 2019
18:06

Sentenza della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro nel processo di secondo grado nato dall’operazione antimafia “Black money” contro il clan Mancuso. Dopo la requisitoria del pm della Dda, Annamaria Frustaci (applicata per tale processo alla Procura generale), risalente al 6 giugno scorso, è quindi oggi arrivato l’atteso verdetto. 

 


Questa la sentenza: Giovanni Mancuso (cl. ‘41) di Limbadi, 9 anni (29 anni la richiesta del pm, mentre in primo grado era stato condannato a 9 anni); Agostino Papaianni (cl. ‘51) di Coccorino, 7 anni ed 8 mesi (il pm aveva chiesto 23 anni ed 8 mesi di reclusione, mentre in primo grado era stato condannato a 7 anni e 8 mesi); Antonio Mancuso (cl.‘38), 5 anni (chiesti dall’accusa 25 anni di reclusione, mentre in primo grado era stato condannato a 5 anni di carcere); Pantaleone Mancuso (cl.’61), detto “Scarpuni”, assolto (il pm aveva chiesto 18 anni di carcere, in primo grado era stato assolto); Giuseppe Mancuso (cl. ’77), prescrizione (il pm aveva chiesto 21 anni e 6 mesi, mentre in primo grado era stato condannato ad 1 anno e 6 mesi per violenza privata senza aggravante mafiosa, reato ora caduto in prescrizione); Leonardo Cuppari (cl.’74), di Ricadi, assolto per non aver commesso il fatto sia dall’accusa di associazione mafiosa sia da quella di tentata estorsione ai danni del proprietario del “Punto Spesa” di Ricadi di Antonio Stagno (l’accusa aveva chiesto 21 anni di reclusione, mentre in primo grado era stato condannato a 5 anni solo per la tentata estorsione incassando l’assoluzione dal reato associativo); Antonino Castagna (cl. ’50) di Ionadi, imprenditore, non doversi procedere per precedente giudicato in relazione al reato di associazione mafiosa per il periodo dal 2003 al 2012 (il pm aveva chiesto 16 anni di carcere, in primo grado era stato assolto); Gaetano Muscia (cl. ’64) di Tropea, 7 anni di reclusione per usura ed estorsione (il pm aveva chiesto 7 anni come il verdetto di primo grado); Damian Fialek (cl. ’77), residente a Sant’Angelo di Drapia, un anno (il pm aveva chiesto 3 anni come la sentenza di primo grado per l’accusa di estorsione ed usura); Antonio Velardo (cl. ’77), immobiliarista napoletano, non doversi procedere per prescrizione (4 anni la richiesta del pm, così come la condanna di primo grado); Antonio Prestia (cl. ’68), imprenditore di San Calogero, 5 anni e 6 mesi (il pm aveva chiesto 5 anni e 6 mesi come in primo grado); Nicola Angelo Castagna, (figlio di Antonino Castagna), prescrizione dopo esclusione delle aggravanti delle modalità mafiose. L’operazione “Black money” era scattata nel marzo del 2013 ad opera della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro guidata all’epoca dal procuratore Vincenzo Antonio Lombardo e dall’aggiunto Giuseppe Borrelli. In primo grado l’accusa dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia è stata rappresentata dal pm Marisa Manzini.

 

Nel collegio difensivo degli imputati sono impegnati gli avvocati: Armando Veneto, Giuseppe Di Renzo (difensore di Giovanni Mancuso, Antonio Mancuso e Giuseppe Mancuso), Giovanni Vecchio, Domenico Chindamo, Francesco Gambardella (per Leonardo Cuppari), Patrizio Cuppari (per Leonardo Cuppari), Sergio Rotundo, Francesco Stilo (per Antonio Mancuso), Aldo Labate, Nicola Cantafora, Francesco Sabatino (difensore di Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni” e Antonio Prestia), Michelangelo Miceli (difensore di Agostino Papaianni), Salvatore Staiano, Leopoldo Marchese, Antonio Porcelli (difensore dei due Castagna), Gianfranco Giunta (difensore dei due Castagna), Francesco Calabrese. Per le parti civili gli avvocati: Giovanna Fronte, Claudia Conidi, Giuseppe Lavigna, Domenico Talotta.

 

In primo grado, il Tribunale di Vibo Valentia (presieduto dal giudice Vincenza Papagno, a latere i giudici Giovanna Taricco e Pia Sordetti) aveva assolto gli imputati dal reato di associazione mafiosa rimarcando nelle motivazioni della sentenza l’assoluta lacunosità delle indagini ed il “vuoto probatorio” sull’operatività del clan Mancuso. La Corte d’Appello di Catanzaro, prima di ritirarsi in camera di consiglio per emettere pomeriggio la sentenza, ha respinto la richiesta del pm Annamaria Frustaci di ascoltare il nuovo collaboratore di giustizia Giuseppe Comito di Vibo Marina ed anche di acquisire l’ordinanza di custodia cautelare emessa di recente contro Antonio Mancuso per l’estorsione al commerciante Zappia di Nicotera, nonchè il decreto di sequestro dei beni operato nelle scorse settimane dalla Guardia di finanza nei confronti di Giovanni Mancuso.

Giornalista
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