Il patto tra 'ndrangheta e Cosa nostra e il summit a Nicotera

La deposizione nel corso del processo 'Ndrangheta stragista dell'ex boss Franco Pino

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di Redazione
4 giugno 2018
19:44

Deposizione del collaboratore di giustizia di Cosenza, l’ex boss Franco Pino, nel processo “Ndrangheta stragista” in corso a Reggio Calabria. L’ex “padrino” ritorna sulla proposta di Cosa Nostra avanzata alla ‘ndrangheta nel 1992 dopo l’omicidio del giudice Paolo Borsellino e discusso nel corso di un summit in un villaggio di Nicotera Marina.

 


Il racconto di Pino si sposta poi nel periodo delle stragi di mafia, entrando ancor più forte nel tema del processo. «Dopo la strage di via D’Amelio, vengo convocato dai Mancuso. Era estate inoltrata nel 1992. Venne a Cosenza Pantaleone Mancuso e mi disse che mi voleva parlare Luigi a Limbadi. A brevissimo termine, chiamai una persona vicina a me, Umile Arturi. Partiamo da Cosenza e andiamo a Limbadi. Troviamo il nipote di Luigi e ci dice di andare tutti al campeggio Sayonara. Era un villaggio turistico, c’era Luigi Mancuso, Santo Carelli, Giuseppe Farao, c’erano altre persone come Nino Pesce, c’era anche un calabrese che abitava a Milano e mi fu presentato un certo Franco Coco Trovato e c’era anche Giuseppe De Stefano. C’era un signore che mi è stato presentato, tale Papalia. Era Luigi Mancuso che faceva le presentazioni». Ma perché erano stati convocati al Sayonara? «Arrivò un’imbasciata che i siciliani di Totò Riina e quelli vicini a lui, avevano chiesto ai calabresi – spiega Pino – di partecipare con loro ad un’offensiva contro lo Stato. Volevano compiere attentati contro obiettivi istituzionali e avevano detto alla ‘ndrangheta “vi conviene partecipare perché, anche se voi non partecipate e la legislazione cambia, le cose si fanno più brutte per tutti, non solo per i siciliani”. Ci fu una proposta e ciascuno la pensò a modo suo. Non c’era nessun siciliano presente, materialmente parlavano Nino Pesce e Coco Trovato. Pesce era messaggero dei Piromalli, ha introdotto il discorso dicendo che parlava a nome dei Piromalli». Cosa si intendesse per obiettivi istituzionali è presto detto: «Specificatamente si parlava di assaltare caserme nei paesi dove c’erano cinque o sei carabinieri, piccole stazioni. Colpire questi obiettivi nei paesi. Unico riferimento erano le stazioni carabinieri. Anche per uccidere. Se affronti un carabiniere sai già che se non uccidi tu, lui prende la pistola e uccide te. Il riferimento lo fecero sia Nino Pesce che Coco Trovato, la direttiva era quella, una proposta». Anche sugli obiettivi, Pino è lucidissimo: «Per quello che ho capito io, sovvertire lo Stato e mettere con le spalle al muro, costringere lo Stato ad una trattativa e dire “noi non facciamo più questo e tu in cambio mi dai legislazione più morbida, il 41 bis, legge sui pentiti”». Pino, però, non era d’accordo con quella strategia: «Ho avuto modo di commentare con Luigi Mancuso, lui non ha mai condiviso la guerra aperta contro le istituzioni, i carabinieri, lo Stato.

Le perplessità della 'ndrangheta

Era una proposta dove ciascuno avrebbe dovuto poi decidere. Non era in quella sede il direttorio di tutto. Noi abbiamo ragionato grosso modo quello che si doveva ragionare in quella sede, ma non si stabiliva tutto là. Volevano tirarci dentro noi cosentini e cirotani, ma non avevano bisogno di noi. Quella è gente che decide da una vita, non aveva bisogno di invitare cosentini, coriglianesi e cirotani. Io non diedi adesione alla richiesta dei siciliani. Se la Calabria ‘ndranghetista avesse aderito apertamente ci saremmo dovuti stare anche noi. Se Luigi Mancuso mi avesse detto “Piromalli e Pesce aderiscono”, io avrei aderito anche a malincuore. Anche Mancuso lo vedeva come un problema schierarsi apertamente».

 

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