Lo scenario criminale

’Ndrangheta stragista, il progetto delle mafie per spaccare l’Italia e farsi Stato: «Volevano una guerra civile tra Nord e Sud»

Nelle motivazioni della sentenza d’appello le testimonianze sul patto tra mafia, politica e logge deviate. I contatti con la destra eversiva e la passione per le leghe meridionali: «Gli incontri a Lamezia perché la Calabria è la culla del potere massonico»

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di Pablo Petrasso
2 marzo 2024
07:00

Gli «intrecci che si sono dipanati tra organizzazioni criminali e ambienti massonici e politici» non sono cosa nuova nel racconto giudiziario. Lo scopo («destabilizzare lo Stato e sostituire la vecchia classe dirigente che non aveva soddisfatto i “desiderata”» del sistema criminale) è noto. Ed era già emerso in Olimpia, maxi processo contro la ’ndrangheta del Reggino. Lo storico pentito Giacomo Ubaldo Lauro – la sottolineatura è contenuta nelle motivazioni della sentenza d’appello del processo ’Ndrangheta stragista – «aveva rivelato che nel summit di 'ndrangheta di Montalto si era deciso di appoggiare la Democrazia Cristiana, aggiungendo che il principe Junio Valerio Borghese con ogni probabilità aveva avuto contatti con le cosche di Reggio Calabria e di Gioia Tauro». Per il collaboratore Gullà, invece, la famiglia De Stefano e i Piromalli avrebbero appoggiato «l'estrema destra, aggiungendo che Paolo Romeo (avvocato condannato nel processo Gotha, ndr) aveva favorito i contatti tra settori 'ndranghetistici, come i De Stefano e ambienti di estrema destra». Sempre nel processo Olimpia, il collaboratore Dominici tracciava un legame tra il ricco possidente reggino Felice Genoese Zerbi e Avanguardia nazionale. Le tracce dei contatti tra famiglie calabresi e destra eversiva sono molte.

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Il progetto politico di Cosa nostra «aiutata dalla massoneria»

È il pentito siciliano Leonardo Messina ad allargare il fronte davanti alla Commissione parlamentare antimafia: nel 1992 riferisce «di una riunione svoltasi ad Enna, con la partecipazione di alcuni rappresentanti provinciali di Cosa Nostra, nel corso della quale si era elaborato un progetto politico-eversivo da parte di Cosa Nostra, "aiutata dalla Massoneria" e sostenuta da settori delle istituzioni, dell'imprenditoria e della politica».


Nella logica dei sistemi criminali complessi introdotta dal processo imbastito dalla Dda di Reggio Calabria, l’apertura a settori della massoneria deviata e della politica rappresenta un ulteriore salto di qualità. Il tema viene introdotto da due pentiti catanesi, Avola e Malvagna: sono loro a confermare «lo svolgimento di riunioni prima delle stragi del '92, finalizzate all'approvazione, oltreché di una strategia stragista, anche della nascita di un nuovo movimento politico». Alla Sicilia fa eco la Puglia, con i pentiti Modeo e Pulito che, proprio nel processo ’Ndrangheta stragista raccontano «dei rapporti fra le leghe meridionali, la criminalità organizzata e la massoneria deviata, con relativo coinvolgimento di Licio Gelli».  

Sulla sponda calabrese, Filippo Barreca, storico collaboratore reggino, santista e massone, riferisce «dell'obiettivo secessionista perseguito dalla 'ndrangheta e del ruolo dell'avvocato Paolo Romeo, rivelando inoltre l'esistenza di una loggia "super segreta" e di incontri avvenuti presso la sua abitazione tra Freda, Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, relativi alla costituzione di questa loggia, alla quale avrebbero dovuto partecipare (…) anche "Paolo De Stefano, Peppe Piromalli, Antonio Nirta, Fefe Zerbi"».

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I (tanti) progetti per destabilizzare lo Stato

I progetti di destabilizzazione dello Stato sono uno dei leitmotiv nel rapporto tra ‘ndrangheta, politica e logge massoniche deviate. Il pentito Pasquale Nucera parla di un «enorme comitato d’affari» tirando in ballo i presunti rapporti tra Giulio Andreotti e Antonio Mammoliti di Gioia Tauro che, in sentenza, viene presentato come «referente per conto della 'ndrangheta per la spartizione di voti e lavori pubblici». Per Nucera di queste cose si parlava nella riunione annuale di 'ndrangheta di Polsi.

A uno di questi summit, nel 1991, avrebbe partecipato «un tale Giovanni Di Stefano, uomo con accento straniero, amico di Milosevic, che aveva parlato di un progetto politico di destabilizzazione, in particolare affermando che "bisognava appoggiare il nuovo partito degli uomini, che doveva sostituire la Dc, in quanto quest'ultimo partito non garantiva gli appoggi e le protezioni del passato”».

«I vertici di Cosa Nostra avevano deciso di incoraggiare la politica della Lega Nord»

In questo quadro magmatico si colloca l’interesse delle organizzazioni criminali verso i movimenti autonomisti. Per il già citato Leonardo Messina «i vertici di Cosa Nostra avevano deciso di incoraggiare la politica della Lega Nord poiché in uno Stato federale Cosa Nostra sarebbe diventata Stato (Sicilia), ottenendo così il controllo completo dell'isola e liberando tutti gli uomini d'onore condannati all'ergastolo. Seppi così che sarebbe dovuta sorgere una Lega del Sud con finalità identiche a quella del Nord». Per il pentito siciliano «la nascita della Lega del Sud era stata decisa con la massoneria di Gelli e con l’avallo di eminenti uomini politici del tempo».

È lo stesso contesto dell’intercettazione di Giuseppe Graviano in cui viene chiamato in causa il senatore Gianfranco Miglio della Lega che sarebbe «sceso in Sicilia… è sceso in Sicilia perché aveva un bel progetto con noi». I giudici sottolineano che «tra le realtà meridionali che si richiamavano al leghismo, la Lega Sud Italia fu costituita a Reggio Calabria il 28 novembre 1990» e successivamente «si era svolta una manifestazione, avente ad oggetto "La Rivolta di Reggio, attualità della protesta del Sud'', organizzata da un circolo culturale romano facente capo a Stefano Delle Chiaie e all'ambiente di estrema destra». Si torna così alla destra eversiva, presenza costante nel racconto dei pentiti. Il collegio elenca le presenze a quel convegno: «oltre Delle Chiaie, anche l'armatore Amedeo Matacena, il sindaco Licandro e Schirinzi, presidente della Lega sud Italia e personaggio della destra eversiva, per come riferito dal teste di polizia giudiziaria Di Stefano».

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Cosa nostra e il progetto di guerra civile tra Nord e Sud

Le dichiarazioni del collaboratore pugliese Pulito disegnano un quadro inquietante: riferisce di un incontro svolto nel 1991 con Gelli per aggiustare un processo in Cassazione. In quel caso vi sarebbero stati esponenti della Lega meridionale e personaggi in rapporti con la ’ndrangheta.

I giudici citano il racconto di Antonio D’Andrea, presentandolo come «protagonista diretto di tali avvenimenti politici». D’Andrea, si legge nelle motivazioni della sentenza d’appello, «della nascita della Lega Meridionale Centrosud e Isole, costituita nel 1989, tra i cui fondatori vi era Lanari, avvocato del boss Michele Greco. Tale progetto era supportato anche da politici del calibro di Cossiga e Andreotti e vedeva altresì la partecipazione alle riunioni del "maestro" Licio Gelli e dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino». Altro riferimento è al fatto che «Cosa Nostra aveva manifestato interesse verso questo programma e che si erano svolti incontri con il massone Pino Mandalari, condannato per associazione mafiosa. Confermava poi l'esistenza tra il 1990 e il 1991 di "un progetto di guerra civile da realizzare mediante la contrapposizione tra Nord e Sud Italia", precisando che il disegno della Lega Meridionale era stato accantonato e che poi era intervenuta la nascita di Forza Italia, che portava avanti temi comuni alla Lega, soprattutto in ambito di giustizia».

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Incontro a Lamezia Terme perché la Calabria è il cuore del potere massonico

Un quadro, questo, che il processo ’Ndrangheta stragista ha permesso di fotografare attraverso una miriade di testimonianze. Tutte descrivono «l’elaborazione, in una comunanza di interessi fra massoneria e criminalità organizzata, di un nuovo piano politico a carattere autonomista, che sosteneva temi sul fronte della giustizia, quali la modifica della legislazione antimafia che, con tutta evidenza, incontravano il favore di Cosa Nostra, progetto che poi si arenò all'atto della nascita del nuovo partito Forza Italia».

Luogo simbolico di questo progetto sarebbe stata Lamezia Terme, scelta per sancire il patto tra movimenti indipendentisti per «il rilievo centrale che rivestiva la Calabria in ambito massonico. Il racconto arriva dal pentito di Cosa nostra Gioacchino Pennino: «Vi erano dei collegamenti diciamo importanti con la massoneria e altri esponenti di apparati statali, che tutelavano chiaramente e c’era l’interesse che lì era il vero cuore insomma di potere, effettivamente avere un appoggio forte, per poter far partire bene un movimento leghista del Sud».

 

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