Sistemi criminali

«La massomafia di Cosenza siglò un patto per sostenere Berlusconi», la verità di Fondacaro nella sentenza ’Ndrangheta stragista

Nelle motivazioni le nuove testimonianze raccolte nel processo d’appello. Il pentito racconta i rapporti tra i Piromalli e i Mancuso: «Il boss di Limbadi in una loggia deviata di Crotone e Cosenza». L’attenzione delle cosche per la nascita di Forza Italia

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di Pablo Petrasso
4 marzo 2024
20:08

Nel processo d’appello ’Ndrangheta stragista sono emerse nuove prove che hanno, per i giudici, contribuito a formare una ricostruzione «granitica» del coinvolgimento nell’eccidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo «dei più alti livelli ’ndranghetistici»

Tra gli altri, i verbali del collaboratore Marcello Fondacaro hanno rilanciato il tema dell’interazione tra le cosche calabresi, la mafia siciliana, la massoneria e i servizi segreti. Fondacaro è, per il collegio, portatore di un punto di vista privilegiato: vicino alla cosca Piromalli-Molè, ha anche conoscenze sul versante siciliano di Cosa nostra, visto che una sua ex moglie è discendente di una delle famiglie mafiose di Mazara del Vallo. Grazie a questa duplice appartenenza Fondacaro, che non è nato in una famiglia mafiosa, riesce ad apprendere notizie su ciò che si muove «ai più alti vertici della vita criminale non solo locale me dell’intero Paese».


‘Ndranghetista e massone della loggia romana Giustinianea, il pentito avrebbe appreso da un “grembiulino” cosentino inserito nel Psi a Roma «che gli esponenti calabresi del partito avevano raccolto le istanze dei mafiosi e degli 'ndranghetisti che lamentavano la "disattenzione" del precedente governo democristiano in relazione all'impegno di alleviare in ambito legislativo le "sofferenze carcerarie” dei detenuti». Si torna sempre lì: al 41 bis e al tentativo di cancellarlo che diventa una vera ossessione per il sistema criminale.

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La loggia massonica a Gioia Tauro legata direttamente alla P2

È Fondacaro a rivelare «l’esistenza, a Gioia Tauro, di una loggia massonica, diretta emanazione della P2 di Gelli, il cui "maestro" era Strangi, suocero di "Ninello" Piromalli, figlio di Gioacchino». La sua fonte sarebbe Luigi Sorridenti, familiare dei capi-cosca. Nel suo racconto il collaboratore rivela «il legame personale esistente fra Gelli e Giuseppe Piromalli alias "Mussu Stortu", che aveva favorito la creazione della loggia massonica in questione, di cui facevano parte oltre al Sorridenti, anche numerosi altri esponenti della cosca Piromalli e Nino Gangemi, personaggio di primo piano del panorama ‘ndranghetistico».

Fondacaro si muove su un territorio di confine, sia mafioso che geografico: ha modo di riferire dei contatti avuti con i vertici del clan Mancuso di Limbadi: li avrebbe raggiunti nel loro feudo per parlare loro dell’interesse di un amico del clan vibonese per un terreno di Capo Vaticano che era nella disponibilità del futuro pentito. Conosce bene le dinamiche criminali, sa quanto conti la territorialità e sa come muoversi. Sa anche quanto siano profondi i rapporti tra i “suoi” Piromalli-Molè e i Mancuso e, in un periodo di comune detenzione con Nicolino Grande Aracri, avrebbe saputo «dell’appartenenza del capo del sodalizio Luigi Mancuso a una loggia massonica di Crotone e Cosenza, specificando che non si trattava di logge "regolari", ma di massoneria “coperta”».

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La visita del fratello di Totò Riina nella clinica di Fondacaro

Il solito Sorridenti racconta al collaboratore di giustizia che ’ndrangheta e mafia siciliana sono un’unica entità. L’informazione si traduce in un aneddoto: il fatto accade in Sicilia, quando il fratello di quello che poi apprese essere Totò Riina si sarebbe presentato nella struttura sanitaria di Fondacaro per richiedere una prestazione in favore del boss di Corleone. Vicenda, questa, che i giudici considerano importante, «poiché il germano di Riina si presentò affermando di conoscere le origini del Fondacaro, in quanto, disse: "Noi abbiamo amici a Gioia Tauro", sicché ancora una volta è dimostrata l'intensità dei rapporti fra le due organizzazioni criminali, che il collaboratore definisce “un'unica cosa”».

Anche il boss di Cetraro Franco Muto avrebbe avuto «rapporti con trapanesi e palermitani», secondo quanto riferito a Fondacaro da Nino Gangemi.

Il cambio dei referenti politici: dalla Dc alle attenzioni per Berlusconi

Sul piano politico, il pentito illustra nel processo la decisione di mutare i presunti referenti adottata dalle «componenti massoniche e mafiose»: fino ai primi anni 80 avrebbero «avuto come interlocutore il partito della Dc, ma a partire dagli anni 1983-1984 si assisteva a una "virata" verso il Partito socialista, che aveva interpretato il malcontento della 'ndrangheta verso i precedenti referenti politici». È così che alcune candidature eccellenti sarebbero arrivare dopo «precisi accordi con le famiglie di ’ndrangheta».

Spunta, in questo racconto che affonda radici in un’epoca lontana, un termine entrato di recente nel linguaggio mediatico: un amico socialista avrebbe rivelato a Fondacaro che «la masso-mafia di Cosenza (centro che contava il maggior numero di esponenti socialisti) aveva stretto un accordo in ambito nazionale, anche con il tramite di politici reggini, affinché si sostenesse la prossima candidatura di Silvio Berlusconi, fortemente voluta da Bettino Craxi come sua proiezione».

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Il nome di Berlusconi compare 183 volte nella sentenza

Si torna a un altro dei passaggi chiave della sentenza e della monumentale ricostruzione operata dalla Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, e sostenuta sia in primo grado che in appello dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. «Con tutta evidenza - sta scritto nella sentenza - Cosa nostra e la ’Ndrangheta si interessarono al nuovo partito di Forza Italia». Berlusconi non c’è più ma il suo nome compare per 183 volte nelle 1.400 pagine di motivazioni. Per il presidente della Corte d’Assise d’appello Bruno Muscolo e per il giudice a latere Giuliana Compagna, «non può omettersi un riferimento alla figura di Marcello Dell’Utri, la cui immanente presenza nel processo, al pari di quella di Berlusconi, emerge dalle propalazioni dei collaboratori e dalle parole dello stesso Graviano», il boss di Brancaccio condannato all’ergastolo assieme a Santo Filippone per l’uccisione dei due carabinieri.

Fondacaro dice di aver partecipato, all’Hotel Nazionale di Roma, a un incontro conviviale con esponenti socialisti di Cosenza che annunciarono la candidatura di Berlusconi. Sarebbe stato Sorridenti a a confidargli «che anche Berlusconi era un massone piduista e che
Gelli, come detto legato a Piromalli, aveva sollecitato l'attenzione verso una candidatura di Berlusconi. Successivamente, con la nascita del nuovo partito di Forza Italia, il progetto si trasferì su questa nuova entità politica, che verrà sostenuta sia dalla 'ndrangheta che dalla mafia, posto che i collegamenti fra le due organizzazioni erano stretti e continui».

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