È passato oltre un mese dal rapimento della piccola Sofia e l’indagine della Procura di Cosenza prosegue a passo spedito. La situazione è nota. Dal 21 gennaio scorso, Rosa Vespa, autrice del delitto, si trova nella sezione femminile del carcere di Castrovillari, mentre il marito, Moses Omogo, è libero.

Moses Omogo e il desiderio di diventare padre

L’uomo, originario della Nigeria, ha ripreso a lavorare, cercando di condurre una vita normale per quanto possibile, viste le circostanze che lo hanno travolto. Pensava di avere tra le braccia il piccolo Ansel, ma l’arrivo delle forze dell’ordine ha spento i suoi sogni di diventare padre. Quel neonato, in realtà, era una neonata: Sofia, figlia di Federico Cavoto e Valeria Chiappetta.

Estraneo al rapimento

All’esito dell’udienza di convalida, il pubblico ministero Antonio Bruno Tridico e il gip del Tribunale di Cosenza, Claudia Pingitore, hanno concordato sul fatto che Moses Omogo fosse all’oscuro di tutto. Totalmente inconsapevole del piano criminale architettato dalla moglie, che si era addirittura nascosta all’Hotel Royal di Cosenza, dal 7 al 10 gennaio 2024, fingendo di essere ricoverata nella clinica Sacro Cuore di Cosenza, dove sosteneva di aver dato alla luce Ansel. Una messinscena, insomma.

Le chat di Rosa Vespa e Moses Omogo

Nel frattempo, le indagini della Procura di Cosenza sono proseguite. Di recente, sono state autorizzate le analisi dei cellulari di Rosa Vespa e Moses Omogo, con l’obiettivo di fugare ogni dubbio sull’estraneità ai fatti del nigeriano. Dalle prime conversazioni telematiche esaminate dagli inquirenti emergerebbero comunicazioni neutre rispetto al fatto contestato: scambi di messaggi riguardanti la programmazione della vita quotidiana, senza alcun elemento che possa far propendere per un coinvolgimento di Moses Omogo nel rapimento della piccola Sofia. Insomma, questo ragazzo ha detto la verità e, una volta terminate tutte le attività investigative, la sua posizione sarà archiviata dalla procura. Sul fronte di Rosa Vespa, invece, si valuta una perizia psichiatrica per accertare se, al momento della commissione del reato, fosse capace o meno di intendere e di volere.