Il lutto

A Cetraro i funerali di Silvio Aprile, il magistrato Luberto: «Primo teste a pronunciare la parola ’ndrangheta davanti a un tribunale»

Le esequie funebri oggi alle 12 presso la parrocchia di San Benedetto. Il sostituto procuratore generale di Reggio Calabria gli rende omaggio dopo aver "condiviso" negli anni Duemila il processo antimafia "Azimut"

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di Antonio Alizzi
23 aprile 2024
08:00
Il magistrato Vincenzo Luberto e nel riquadro Silvio Aprile
Il magistrato Vincenzo Luberto e nel riquadro Silvio Aprile

La città di Cetraro oggi alle 12 darà l'ultimo saluto a Silvio Aprile. Una morte, quella del ristoratore cetrarese, deceduto all'età di 77 anni nell'ospedale di Bergamo, che ha commosso tutti. Chi lo conosceva da una vita e chi lo conosceva come proprietario del "Caffè Mulini". Un monumento di Cetraro, rinomato almeno fino al 2010 per le specialità marinare e apprezzato dal 1982 ad oggi per la straordinaria produzione e commercializzazione di dolci e gelati fatti a regola d'arte.

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La commozione di Luberto

La dipartita di Silvio Aprile ha però scosso anche un rappresentante dello Stato. Il magistrato Vincenzo Luberto aveva conosciuto il ristoratore di Cetraro nei primi anni del Duemila. Aprile fu uno dei testi del processo "Azimut", l'inchiesta antimafia della Dda di Catanzaro contro la cosca Muto di Cetraro. Oggi Luberto è sostituto procuratore generale di Reggio Calabria, ma nel corso della sua vita non ha mai dimenticato Silvio Aprile, al quale riconosce di aver avuto grande coraggio sia a testimoniare contro lo storico boss di Cetraro che a voler rimanere nella sua città natale.


Dallo storico bar Manna di Cosenza al "Caffè Mulini" di Cetraro

«Non c’è qualcuno sul Tirreno cosentino che non abbia assaggiato i suoi gelati o la sua straordinaria pasticceria napoletana che aveva imparato a fare lavorando allo storico bar Manna di Cosenza» ricorda il magistrato Luberto. «Agli inizi degli anni 2000 la sua azienda appariva sempre più trascurata, i prodotti continuavano ad essere i più buoni, gli avventori la riempivano ma gli infissi erano cadenti, le pareti si incrostavano di anno in anno, le divise dei camerieri erano sempre più lise e rammendate, a conferma di un passato glorioso ma ingiuriato» aggiunge Luberto.

«Era il 2004, a Cosenza Romolo Panico faceva il Questore, era un poliziotto tanto bravo quanto umano, notò l’inspiegabile declino dei Mulini, si accostò a Silvio che gli fece capire quanto stava patendo. Il giorno stesso era in Procura, a Catanzaro, accennava ai torti patiti ma non era convinto di potere parlare, gli dissi che gli sarei stato a fianco e che, il giorno dopo, sarei andato a Cetraro, presso il suo bar, a prendere un gelato con la mia bambina che, all’epoca, aveva pochi mesi. Lo feci e Silvio tornò in Procura». 

Il processo contro la cosca Muto a Trani

Nel menzionare i temi trattati nel processo Azimut, ovvero delle usure patite, «dei pranzi che doveva somministrare senza ricevere il dovuto, del pesce che era costretto ad acquistare al prezzo impostogli» il magistrato Luberto dice che Silvio Aprile «fu il primo teste a pronunciare la parola 'ndrangheta innanzi a dei Giudici» nel corso del processo che si svolse a Trani, quando il tribunale di Paola per motivi di sicurezza si trasferì in Puglia per la celebrazione del giudizio di primo grado.

«Spiegò - sottolinea Luberto - al Presidente Spinosa quella paura indotta che ti costringe a piegarti alle altrui pretese, che ti porta a soccombere nel tentativo di difendere i tuoi figli che vivranno nell’immediato ma saranno lentamente stritolati in un futuro neanche tanto lontano. Silvio si era alzato in piedi, aveva reagito vincendo la paura e puntando il dito contro chi stava rovinando la sua vita. L’aula fu avvolta da un silenzio innaturale, tutto sembrava essersi fermato, le lacrime riempivano gli occhi dei tanti poliziotti presenti, avevo accanto la mia cancelliera Luisa Noto che comincio a guardarmi e a tremare» ma in quel momento, evidenzia Luberto, «lo Stato stava vincendo». 

Quelle scritte cancellate da Aieta nel 2007

Infine, «Silvio Aprile fu il primo testimone di giustizia a non abbandonare la sua terra, rifiutò di dismettere la propria azienda che aveva diritto a vendere allo Stato ad un prezzo sicuramente generoso. Non ha mai voluto una scorta, ha continuato a lavorare protetto da un sistema di telecamere che proiettavano le immagini presso i corpi di polizia. Mi diceva che aveva paura, specie quando da solo, a tarda sera tornava a casa dalla moglie, ma che comunque andava avanti» conclude Luberto non prima di raccontare un altro aneddoto.

«Nel 2007, nel centro di Cetraro comparvero delle scritte offensive nei suoi confronti e nei confronti del cognato Franco Zavatto, venni informato e, di getto, rilasciai una dichiarazione violentissima all’Ansa, tornato a casa ricevetti una telefonata cortese ma ferma da Giuseppe Aieta che era il Sindaco di Cetraro che mi disse che quelle scritte aveva fatto già cancellare». 

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