Il verdetto

Prescritta in appello l’accusa di tentata estorsione per l’ex presidente della Camera di commercio di Vibo Valentia

La decisione dei giudici: stessa sorte per il reato di tentata turbata libertà degli incanti contestato dalla Dda di Catanzaro ad Antonio Catania e al fratello Luca

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di Giuseppe Baglivo
21 febbraio 2024
15:15

Sono prescritti i reati di tentata estorsione e tentata turbata libertà degli incanti contestati ad Antonio Catania, 54 anni anni, già presidente della Camera di Commercio di Vibo Valentia, ed al fratello Luca Catania, 47 anni, entrambi residenti a Vena di Ionadi. La Corte d’Appello di Catanzaro (presieduta dal giudice Giancarlo Bianchi) ha infatti riformato la sentenza emessa dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia in primo grado con la quale il 23 dicembre 2018 i fratelli Antonio e Luca Catania erano stati condannati a 2 anni e 6 mesi ciascuno. 

La Corte d’Appello è arrivata alla sentenza di prescrizione dei reati contestati, previa esclusione delle aggravanti mafiose. Incassando l’assoluzione solo per tale aggravante, la Corte ha quindi dichiarato estinti per intervenuta prescrizione i reati di tentata estorsione e tentata turbata libertà degli incanti. I due imputati erano assistiti e difesi dall’avvocato Salvatore Sorbilli. 


L’accusa, sostenuta dalla Dda di Catanzaro, si basava su un impianto accusatorio costruito sulla base delle informative della Squadra Mobile di Vibo Valentia, sulle denunce e le dichiarazioni delle parti offese e sui verbali di sommarie informazioni testimoniali rese dalle persone a conoscenza dei fatti.  I fratelli Catania erano accusati di aver evocato il possibile intervento di soggetti legati alla criminalità organizzata locale, «sfruttando la vicinanza di alcuni componenti della famiglia Catania alla cosca Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia», al fine di porre in essere la minaccia di gravi ritorsioni in occasione della partecipazione di A. M.  ad un’asta giudiziaria nella procedura di vendita all’incanto dell’immobile sito a Vibo Valentia in piazza d’Armi, già appartenuto a Francesco Catania e Maria Rosa Messina.  

Tali gravi minacce, ad avviso della Dda, sarebbero state poste in essere per impedire l’aggiudicazione dell’immobile, allontanandone l’offerente così da conseguire un «indebito profitto derivante dal fatto che, successivamente, l’ulteriore ribasso del prezzo di vendita avrebbe consentito loro di rientrare in possesso dell’abitazione a condizioni economicamente più vantaggiose». Continua a legge sul Vibonese. 

Giornalista
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