Chiesti 80 anni di carcere per il branco che stuprò una ragazzina di Melito Porto Salvo
VIDEO | Il pm reggino Ponzetta ha richiesto al Tribunale 15 anni di carcere per Giovanni Iamonte, figlio del boss Remingo, e 16 anni e sei mesi per Davide Schimizzi, il fidanzato della giovane all'epoca dei fatti. Tra le accuse: violenza sessuale di gruppo aggravata, atti persecutori e detenzione di materiale pedopornografico. La sentenza è attesa entro la fine dell'anno
Chiesti quasi 80 anni di carcere per il "branco" che abusò di una giovane ragazzina di Melito Porto Salvo. Il sostituto procuratore Francesco Ponzetta, al termine di una lunga e articolata requisitoria ha chiesto al Tribunale, presieduto da Silvia Capone, ha chiesto condanne che oscillano dai 16 anni e sei mesi ai tre anni e due mesi di reclusione. Il pm, nello specifico, ha invocato per Davide Schimizzi 16 anni e sei mesi, per Giovanni Iamonte 15 anni, per Antonio Verduci 10 anni e 10 mesi, per Michele Nucera 12 anni (assoluzione per un capo d’accusa ), e poi per Daniele Benedetto 7 anni, per Lorenzo Tripodi 8 anni (assoluzione per alcuni capi di imputazione ), per Pasquale Principato 8 anni, e per Domenico Mario Pitasi 3 anni e 2 mesi di detenzione. Le richieste di pena sono state pesantissime così come sono le accuse contestate, a vario titolo, ai giovani imputati.
I reati contestati
Si tratta dei reati di violenza sessuale di gruppo aggravata, atti sessuali con minorenne, detenzione di materiale pedopornografico, violenza privata aggravata, lesioni personali aggravati, atti persecutori e favoreggiamento personale. L’inchiesta, condotta dai Carabinieri, si chiama “Ricatto”: un nome che ben si inquadra nel clima che la giovane è stata costretta a subire prima che gli inquirenti mettessero fine al suo incubo. Il ricatto sarebbe consistito nel divulgare immagini e notizie per lei compromettenti e anche di fare del male alla sua famiglia. Per due anni quindi, la ragazzina che all’epoca dei fatti aveva solo 13 anni, sarebbe stata abusata sessualmente dal “branco”, in modo continuato e reiterato. A mettere fine a quello che, per la Procura dello Stretto, sarebbe stato un vero e proprio inferno è stata una fonte confidenziale che ha allertato i Carabinieri della compagnia di Melito Porto Salvo, allora diretta dal capitano Gianluca Piccione. Nessuno infatti, ha denunciato; tutti hanno taciuto. Certo c’erano gli Iamonte di mezzo e se ci sono loro tutti hanno paura. La coscienza si nasconde e ci si barrica in casa con occhi e orecchie tappate perché loro, nonostante le varie indagini che li hanno sbattuti in galera, a Melito Porto salvo comandano sulla vita e sulla morte della gente. Alla sbarra infatti, c’è il figlio del boss Remingo Iamonte, nonché nipote del mammasantissima Natale, Giovanni Iamonte, 32 anni, nato a Reggio Calabria, ma residente nella cittadina grecanica. Anche lui avrebbe abusato della giovane ed è per via della sua appartenenza familiare che persino i genitori della vittima hanno dovuto tacere per molto tempo quanto avveniva alla figlia.
La vicenda
Solo una professoressa si è accorta che stava succedendo qualcosa di strano. I genitori si stavano separando e la ragazzina non stava vivendo un momento felice. In classe viene dato un tema da svolgere e in questa occasione è emerso il disagio che la stava piano piano uccidendo ogni giorno. Il gruppo sarebbe stato capace addirittura di prelevarla, almeno due volte alla settimana, all’uscita di scuola- per poi presumibilmente stuprarla. Stupri che sarebbero avvenuti anche in un’abitazione nella disponibilità di Giovanni Iamonte. La richiesta di condanna più “alta” è stata però per Davide Schimizzi, il suo fidanzatino dell’epoca. A tredici anni, in piena adolescenza, non è stato complicato per la ragazza cedere alle sue lusinghe. Siamo nell’estate del 2013. Fra i due inizia una relazione sentimentale che all’inizio non presentava alcuna patologia. Una storia apparentemente normale fra due giovani. Ma a breve questa relazione si spoglierà di tutto l’amore e quello che doveva essere il suo ragazzo diventerà invece, il suo presunto “aguzzino”. È troppo grande la differenza di età. La giovane ha paura di perderlo. Ha paura di perdere quelle attenzioni, quei gesti d’affetto di cui aveva bisogno e che nessuno le stava più donando. I due si lasciano, la giovane è “rea” di aver dato credito al corteggiamento di un altro coetaneo. Per essere “perdonata” Schimizzi, come è riportato nelle carte dell’inchiesta, avrebbe messo come clausola l’orrore più assoluto:si deve concedere anche ai suoi amici. Ed ecco che inizia la spirale delle presunte violenze sessuali.
Gli abusi consumati per anni
Nei due anni in cui sarebbero consumati gli abusi, però il branco riceve uno “stop”. La giovane non ce la fa più. Riesce a svincolarsi, per poco tempo, e intrattiene una relazione sentimentale con un coetaneo. Ma il gruppo sarebbe tornato all’attacco. La tredicenne era “roba loro”. Nessuno si doveva permettere a toccarla. Ed ecco che con la loro violenza travolgono il suo fidanzatino che viene picchiato e minacciato di lasciare subito la giovane. La paura è tanta, come l’omertà. Le violenze ritornano nuovamente fino a quando inquirenti e investigatori non scoprono tutto e adesso i giovani imputati rischiano di passare molti anni dietro le sbarre. La sentenza del Collegio è attesa entro la fine dell’anno.
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