Reggio Calabria, la candidata marocchina e salviniana condannata per sequestro di persona

Nel 2018 insieme ad alcune connazionali ha raggiunto Vibo Valentia per mettere in atto un pestaggio punitivo nei confronti di un’altra donna. L’esponente del Carroccio in lista per Minicuci sindaco. «Sono d’accordo con Salvini, non tutti gli immigrati sono brave persone»

di Francesco Altomonte
3 settembre 2020
18:51
Nezha Lareq
Nezha Lareq

Si candida anche per difendere le donne, solo quelle però che non si sono macchiate del "reato" di infedeltà coniugale. Lei è Nezha Lareq, 59enne di origini marocchine che da alcuni giorni è diventata popolare a Reggio Calabria perché ha deciso di candidarsi nelle liste del candidato a sindaco del centrodestra Antonino Minicuci, spendendo parole al miele per Matteo Salvini.


In una delle foto sul suo profilo di Facebook, prima che lo rendesse visibile solo ai suoi contatti, appare sorridente mentre imbraccia un fucile mitragliatore (si tratta di un fucile di scena) imbardata da un giubbotto antiproiettile.


 

«Ho deciso di candidarmi con Minicuci Sindaco - scrive la donna - e ho sempre pensato che gli africani vanno aiutati a casa loro. Apprezzo di Salvini che non vuole tragedie in mare e che i migranti siano regolari, perché non tutti scappano dalle guerre e non tutti sono brave persone». A destare sorpresa, però, non sono solo le parole che accompagnano la sua decisione di candidarsi come consigliera alle prossime comunali del 20 e 21 settembre nella città dello stretto.

 

Sulla Lareq, infatti, pende una condanna in primo grado a un anno e mezzo di carcere per sequestro di persona ed il pestaggio di una connazionale avvenuto a Vibo Valentia nel novembre 2017. Secondo l'accusa, la Lareq e altre tre donne sarebbero partite dalla provincia di Reggio Calabria, dove risiedono, alla ricerca di una loro connazionale che hanno poi raggiunto a Vibo in piazza Spogliatore.

 

«Sono Nezha Lareq - si legge nella presentazione - sono marocchina, reggina d'adozione. Vivo qui da 34 anni e sono un'immigrata, una madre, una musulmana e un'attivista per i diritti umani e i diritti delle donne. Ho fondato l'Associazione Culturale Donne Arabe di Calabria per diffondere il rispetto della donna e la libertà religiosa nel rispetto delle persone».

 

Fermo restando la presunzione di innocenza fino a una eventuale condanna definitiva (si è in attesa della fissazione dell'appello), la difesa delle donne per la Lareq sembrerebbe fermarsi davanti all'infedeltà. Secondo l'accusa mossa dalla procura di Vibo Valentia, infatti, il movente che avrebbe innescato il pestaggio sarebbe riconducibile ad una relazione amorosa che la vittima avrebbe intrapreso con l’ex marito di una delle quattro condannate.

 

Alla vista della donna, secondo quanto si è accertato nel processo di primo grado celebrato davanti al gup di Vibo Valentia, le quattro marocchine avrebbero iniziato ad aggredire la connazionale percuotendola anche con un ombrello per poi farla salire con la forza sulla loro auto all’interno della quale proseguivano nell’aggressione strappandole i capelli e minacciandola di morte: «Ti ammazzo, mi hai preso mio marito, ti porto a Reggio e ti ammazzo». Come dire: difesa delle donne sì, ma con i mariti delle altre non si scherza.

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