Il metodo mafioso

Inchiesta Revolvo, quegli appalti pubblici di Reggio gestiti dalla ‘ndrangheta: «Una gallina dalla uova d’oro»

Secondo gli inquirenti esisterebbe una vera e propria «diffusa cultura mafiosa che ha permesso finora l’arricchimento in primis delle locali famiglie della criminalità organizzata calabrese»

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di Elisa Barresi
17 dicembre 2022
12:43
La sede municipale del Comune di Reggio Calabria
La sede municipale del Comune di Reggio Calabria

I tre imprenditori edili e fratelli Francesco, Giovanni e Filippo Gironda, rispettivamente di 74, 72 e 63 anni, sono stati sottoposti al regime degli arresti domiciliari a seguito dell’inchiesta denominata “Revolvo”, coordinata dal procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Giuseppe Lombardo e dal sostituto della Dda Sara Amerio, condotta dalla guardia di finanza che ha visto finire nel calderone degli indagati anche sette funzionari pubblici dipendenti del Comune.

Nelle carte emerge come il «”metodo mafioso” continui a rappresentare, a Reggio Calabria, una vera e propria cultura, tanto da riuscire a permeare ogni settore dell’economia locale, soprattutto quello dei lavori pubblici garantendo cosi l’assegnazione di appalti, lavori e commesse pubbliche a imprese che per quanto mafiose, ovvero riconducibili ad ambienti criminali, sono riuscite, attraverso schermature societarie ovvero pratiche associative, le cosiddette ati, a risultare “amiche” del funzionario pubblico di turno grazie a consolidate e continue pratiche corruttive».


Le mani sui lavori

Per gli inquirenti è chiaro il sistema utilizzato per arrivare allo scopo ultimo di garantirsi la gestione dei lavori in città: «Grazie alla connivenza tra i “colletti bianchi”, inseriti all’interno di enti pubblici e quei privati imprenditori “presentabili” – ovvero soggetti, allo stato, scevri da precedenti penali specifici ma legati indissolubilmente ad ambienti criminali allargati ovvero a una determinata cosca di ‘ndrangheta, che, pertanto, possono contare indisturbati sulle loro “amicizie e/o conoscenze mafiose”, in grado di tessere legami con funzionari e/o dipendenti pubblici impiegati nei punti nevralgici della res publica – le famiglie di ‘ndrangheta sono riuscite a garantirsi, illecitamente, l’assegnazione di lavori nei più disparati e redditizi settori pubblici».

Cultura mafiosa

Esisterebbe, dunque, secondo gli inquirenti, una vera e propria «diffusa cultura mafiosa che ha permesso finora, mediante il condizionamento sia dell’economa locale sia dell’intero tessuto economico cittadino, l’arricchimento in primis delle locali famiglie di ‘ndrangheta e in secondo luogo di soggetti che, per le loro funzioni, si trovano a gestire settori strategici della res publica». E questo sistema, emerge dalle carte, sarebbe resistito anche «agli istituti di prevenzione previsti dalla legislazione primaria, quali le interdittive antimafia».

Gli affari dei Gironda

Le indagini svolte avrebbero permesso di acclarare l’esistenza di quello che gli inquirenti hanno definito il «gruppo imprenditoriale Gironda, costituito da diverse imprese riconducibili alla famiglia “Gironda”, nel cui ambito operano personaggi coinvolti in inchieste di mafia e attualmente indagati/detenuti per associazione di stampo mafioso, capaci, pertanto di convogliare, nel proprio ambito imprenditoriale, illecitamente lavori privati e pubblici, atteso che tutti gli appartenenti al “Gruppo” stesso, sono imprenditori edili in grado di interagire con l’amministrazione cittadina che è risultata essere piegata, dall’interno, alla volontà dei singoli piuttosto che al bene della collettività».

L’operazione “Araba Fenice”

Era il 2012 quando dell’operazione Araba Fenice, emergeva un «persistente legame d’interessi economici e l’esistenza di un consolidato rapporto utilitaristico tra quest’ultimo e il pregiudicato mafioso Giuseppe Stefano Tito Liuzzo. Veniva cosi avviata una nuova attività tecnica proprio nei confronti degli appartenenti al Gruppo Gironda – con particolare riguardo a Filippo Gironda cl’ 75, che ha consentito di ampliare lo spettro investigato, di chiarire e definire il suo ruolo di “imprenditore stabilmente colluso” con il pregiudicato mafioso Liuzzo».

Le ditte coinvolte

Ed è il ruolo di Liuzzo che diventa collante tra l’attuale inchiesta e la più volte richiamata operazione “Araba Fenice” dove «si è avuto modo di cogliere, come, sotto la direzione di un uomo abile, la realizzazione degli immobili costruiti dalla Edilsud snc, riconducibile alla famiglia Calabrò, ha visto la partecipazione di imprese ed uomini espressione di numerose cosche di ‘ndrangheta reggine, le quali, pur a fronte di qualche fisiologico dissapore in relazione alla dimensione dell’introito che ne potevano conseguire, hanno agito sulla scorta di una vera e propria unione di intenti».

L’accusa

Secondo l’impostazione accusatoria, «l’attività investigativa ha consentito di individuare una ramificazione dell’organizzazione criminale di tipo mafioso, al cui interno operano componenti diversificate: la prima, caratterizzata dal modus agendi tipico delle organizzazioni mafiose, diretta ed organizzata da Serena Assumma e Morabito Domenico; la seconda, le cui dinamiche operative sono focalizzate su particolari settori di interesse, diretta ed organizzata da Francesco Gironda cl. ’48 e Filippo Gironda cl. ’59 destinata, al più ampio contesto criminale di tipo mafioso di riferimento, all’accaparramento ed alla spartizione degli appalti pubblici e privati, tramite varie condotte delittuose inerenti la turbata libertà degli incanti, le false attestazioni e la corruzione di pubblici funzionari. Indispensabile – ad avviso degli inquirenti – elemento di congiunzione, al quale era riservato il ruolo di organizzatore delle varie componenti della struttura criminale in esame, è Filippo, sul conto del quale così scrive il pm: “sodale della ‘ndrina Franco, è al servizio delle necessità della famiglia Liuzzo, componente qualificata della cosca Rosmini nonché delle famiglie Murina e Canzonieri, a sua volta riferibile alla componente apicale della ‘ndrangheta reggina rappresentata dalla cosca Tegano di Archi di Reggio Calabria».

In tale contesto, per gli inquirenti, l’unitarietà della ‘ndrangheta appare nel suo dinamico manifestarsi in relazione al pacifico core business: il profitto. «L’aggiudicazione delle commesse pubbliche è una “gallina dalle uova d’oro”, un banchetto a cui tutte le famiglie possono sedersi e prendere parte senza colpo ferire, muovendosi in modo coordinato nell’ambito di un’organizzazione criminale di tipo mafioso evoluta».

Giornalista
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