Rinascita Scott, Emanuele Mancuso: «Professionisti “amici” della cosca e soldi per far ritrattare i pentiti»
Il collaboratore di giustizia è un fiume in piena: ricorda e racconta avvenimenti che finiscono per mettere nei guai più di qualche imputato
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Professionisti a disposizione del clan Mancuso, denaro per far ritrattare le accuse ai collaboratori di giustizia e legami con personaggi insospettabili. Emanuele Mancuso, nel corso della lunga deposizione nel processo Rinascita- Scott, si è rivelato “un fiume in piena”, capace di raccontare e ricordare diversi avvenimenti che finiscono per mettere nei guai più di qualche imputato e non solo.
Il furto alla gioielleria di Nicotera
È il 2018 e la gioielleria Limardo subisce un furto. “Siamo stati io, Ciprian Stratulat e Mirco Furchì a rubare in tale gioielleria di Nicotera – ha dichiarato Emanuele Mancuso – ed ho commesso il furto perché Limardo era un confidente della polizia e per questo io lo consideravo un infame. Presi i gioielli, ho saputo che mio cugino Antonio Mancuso, figlio di Peppe Mancuso detto ‘Mbrogghja, era avvelenato per tale furto e quindi ho concordato con lui di restituire tutta la refurtiva. Il gioielliere era amico di Antonio Mancuso, operava per la cosca e – ha aggiunto il collaboratore – nel corso del processo Dinasty aveva ritrattato le accuse. Anche mio zio Luigi Mancuso, dal quale si era recato Limardo piangendo, chiamò mia mamma per informarla che dovevo chiedere scusa ai Limardo ed al tempo stesso dovevo allontanarmi dai Soriano di Filandari.
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