Rinascita Scott, ex boss Rossano: «Legami tra clan della Sibaritide e i Reggini»

Nella stessa udienza tenutasi oggi, ha scelto di non rispondere alla domande del pubblico ministero il collaboratore di giustizia di Laureana di Borrello Salvatore Schiavone

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di Giuseppe Baglivo
3 febbraio 2021
18:58
Udienza del processo Rinascita Scott
Udienza del processo Rinascita Scott

È stata oggi la volta di Pasquale Tripodoro, 82 anni, capo della ‘ndrina di Rossano, collaboratore di giustizia dal 1994, nel processo Rinascita-Scott. Rispondendo alle domande del pm Antonio De Bernardo e poi dei difensori degli imputati, il collaboratore Tripodoro – sia pur a fatica per problemi di udito – ha sostanzialmente confermato quanto dichiarato a verbale due anni fa alla Dda di Catanzaro. «Il nostro riferimento nella ‘ndrangheta era Giuseppe Cirillo che operava nella zona di Sibari. Scoprimmo in seguito che non eravamo riconosciuti come locale, né Rossano, né Corigliano, né Sibari. 

Cirillo aveva mentito e per questo siamo stati a Reggio Calabria dai fratelli Mimmo e Pasquale Tegano per metterci a posto e come capi vennero riconosciuti io a Rossano, Santo Carelli a Corigliano. Senza il riconoscimento da parte dei reggini uno ‘ndranghetista comandava solo a casa sua. La ‘ndrangheta è una struttura unica e il Crimine deriva da Reggio Calabria e da San Luca. Ho ricevuto sino alla dote del Vangelo e nella mia copiata c’erano Paolo De Stefano, uno dei Tegano, Cirillo e Mannolo. Oltre al Vangelo c’è un grado superiore che si chiama “Diritto e medaglione”, dote che aveva Franco Pino» ovvero l’ex boss di Cosenza. Secondo Pasquale Tripodoro, “il Crimine di Reggio Calabria e di San Luca era composto da Giuseppe Morabito, Antonio Pelle e Paolo De Stefano e Tegano.


Tutti i capi società che hanno il Crimine e sono riconosciuti da San Luca formano una Commissione regionale e possono partecipare alle riunioni. Io avevo a che fare con Santo Carelli di Corigliano, con Giuseppe Farao, Silvio Farao e Cataldo Marincola di Cirò. Ai miei tempi a Crotone aveva il Crimine Luigi Vrenna, detto “Lo Zirro”. A Vibo non so se c’era un Crimine”. Quindi il riferimento ad un incontro a Limbadi in compagnia di Santo Carelli. “Siamo andati in una casa a trovare una persona che si chiamava Mancuso. Noi eravamo andati perché Carelli era interessato ad una barca. Abbiamo mangiato a casa sua, una casa vicino alla caserma dei carabinieri”.  

Si è avvalso della facoltà di non rispondere, invece, il collaboratore di giustizia Salvatore Schiavone, di 45 anni, di Laureana di Borrello. Chiamato come teste dell'accusa nel processo Rinascita-Scott, la collaborazione di Schiavone era emersa dopo la conclusione delle indagini preliminari ad opera della Dda di Catanzaro che il 19 giugno 2020 aveva portato all'arresto di numerose persone per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico dal Brasile e dall'Albania. Traffico legato principalmente alla figura del boss di Zungri Giuseppe Accorinti. Il 3 ottobre del 2019 Schiavone aveva parlato degli uomini del locale di ‘ndrangheta di Zungri in Toscana: ed in particolare dei fratelli Valerio e Giuseppe Navarra, originari di Pernocari, frazione del comune di Rombiolo, nel Vibonese.

Argomenti e tematiche che Schiavone oggi – comparso in video-collegamento con l’aula bunker di Lamezia - non ha inteso approfondire dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, scegliendo di non rispondere alle domande della pubblica accusa come da sua facoltà in quanto imputato di reato connesso. Il pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo – oggi in aula a rappresentare l’accusa – ha annunciato che la Procura distrettuale adotterà i provvedimenti del caso a seguito della scelta di Schiavone di avvalersi della facoltà di non rispondere.

Giornalista
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