Scacco al clan Condello, De Raho: «Troveremo gli assassini di Scopelliti»

Il procuratore a margine della conferenza stampa che ha reso noti i dettagli dell’operazione “Sansone” che ha portato all’arresto di 26 persone: «Quell'omicidio arriverà ad essere acclarato in ogni sua parte di responsabilità»
15 novembre 2016
14:26

«Sul territorio della provincia di Reggio Calabria continuano a manifestarsi gli effetti nefasti di quella pax mafiosa probabilmente sottoscritta con l'estremo sacrificio del sostituto procuratore generale della Cassazione, Antonino Scopelliti, i cui assassini sono ancora senza nome». Lo ha detto il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, incontrando i giornalisti per illustrare i particolari dell'operazione che ha portato al fermo da parte dei carabinieri di 26 presunti affiliati alla 'ndrangheta.

 


'Ndrangheta, in manette 26 affiliati al clan Condello

 

«La mia esperienza, però, mi induce ad affermare che, grazie all'impegno della magistratura e delle forze dell'ordine di Reggio Calabria, quell'omicidio arriverà ad essere acclarato in ogni sua parte di responsabilità».

 

Antonino Scopelliti fu ucciso in un agguato il 9 agosto del 1991 a Campo Calabro, il centro della provincia di Reggio Calabria di cui era originario e dove trascorreva da sempre le vacanze estive. Per l'assassinio del magistrato di Cassazione il processo d'appello svoltosi a Reggio Calabria si concluse il 14 novembre del 2000 con l'assoluzione di alcuni dei maggiori esponenti di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, Giuseppe e Filippo Graviano, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè e Benedetto "Nitto" Santapaola, che erano accusati di essere stati i mandanti dell'omicidio di Scopelliti. La sentenza d'appello ribaltò all'epoca quella del processo di primo grado, che si era concluso con la condanna all'ergastolo di tutti gli imputati. La tesi dell'accusa, all'epoca, era che Scopelliti fosse stato ucciso in vista del maxiprocesso a Cosa nostra in Cassazione in cui avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa. Tesi che fu smentita dai giudici della Corte d'assise d'appello.

 

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