Operazione Pressing

«Se spari a quel drogato di mio figlio ti offro un caffè», la disperazione di un padre pressato da uno spacciatore non pagato

La conversazione negli atti dell’inchiesta cosentina che ha disarticolato un traffico di stupefacenti. Il genitore viene minacciato affinché saldi un piccolo debito ma lo scambio telefonico all’improvviso assume toni surreali. Il malvivente: «Tuo figlio è buono. Senti a me, il ragazzo si può recuperare ma non deve frequentare gente di m…» (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Marco Cribari
14 marzo 2023
15:21
Intercettazioni
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Un padre non dovrebbe mai seppellire il proprio figlio. Neanche con il pensiero. A volte, però, capita che la disperazione abbia il sopravvento sull’istinto genitoriale. È in quel caso che si arriva anche a rinnegare il sangue del proprio sangue. Il 24 settembre del 2021 i poliziotti della Mobile che indagano sul giro di spaccio fra Cosenza e la Presila raccolgono un’intercettazione straziante che vale da conferma. Uno degli indagati dell’operazione “Pressing”, Stefano Casole, telefona a un tossicodipendente che gli deve dei soldi. Solo quaranta euro che l’uomo è intenzionato a recuperare a tutti i costi, ma dall’altro capo del filo il debitore non vuole sentire ragioni. «Guarda che chiamo tuo padre» lo avverte Casole. «E chiamalo» replica l’altro in segno di sfida. È il prologo a una conversazione, quella successiva, che si rivelerà drammatica.

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L’indagato, infatti, dà seguito alla minaccia, ma dopo aver messo al corrente l’interlocutore del debito contratto da suo figlio, riceve una risposta spiazzante: «Ascolta, me lo fai un favore? Me lo spari a mio figlio? Se me lo spari, se me lo togli dai coglioni, è un pregio. Preferisco che muoia, te lo giuro, lo preferisco». L’uomo è un fiume in piena. Inveisce contro il suo primogenito - «è un drogato perso, un delinquente» - e rappresenta di guadagnare 500 euro al mese, ma che in tasca gliene sono rimasti solo cinque perché gli altri «se lì è rubati tutti lui». Quindi, prospetta ancora una volta al suo amico quella che a suo avviso è la soluzione migliore: «Ammazzalo, ammazzamelo. Tanto è uno stronzo».


Casole è scioccato e, dismessi i panni del riscossore, arriva a indossare quelli improbabili dell’assistente sociale. Prima tenta di ammansire quel papà furioso - «Ma no, no…che tuo figlio è buono» - e poi gli suggerisce una strategia d’intervento - «Senti a me, il ragazzo si può recuperare, ci sono le comunità, non deve frequentare gente di merda» - ma quell’altro non vuole sentire ragioni: «Nooo, te l’ho detto: uccidilo. Se lo uccidi ti pago un caffè». Il colloquio si fa via via sempre più surreale: «Mamma mia, mi dispiace – si lamenta l’intercettato - Mi state facendo sentire male, oggi o domani anch’io posso diventare genitore». Dall’altra parte i toni si fanno più meditativi - «Lo so, lo so» - ma è solo un attimo di quiete prima della nuova tempesta: «Mio figlio ci ha rovinato. Lo sai cos’ha detto lo psichiatra? Che ci sotterra. Mia moglie ha pianto per tre giorni. L’unica soluzione è che muore, così noi ci salviamo e siamo tutti contenti».

Giornalista
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