Pizzaiolo sequestrato e ricattato per un debito di 50 euro, chieste 7 condanne

Il proprietario di un locale del rione San Cristoforo di Reggio venne prelevato con la forza per non aver versato la somma a un dipendente che la rivedicava. La sentenza attesa per il 20 settembre  

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di Angela  Panzera
18 settembre 2019
16:22
Denaro
Denaro

Oscillano dai sette ai cinque anni di reclusione le richieste di condanna invocate dal pm antimafia Roberti Di Palma al gup distrettuale di Reggio Calabria Pasquale Laganà nei confronti degli imputati coinvolti nell’indagine “Take Away”.

Il sequestro di persona 

Nel dettaglio l’accusa ha chiesto sette anni di reclusione per Francesco Belfiore, Massimiliano Polimeni, Bruno Scaramuzzino, Bruno, Pietro e Giuseppe Surace mentre 5 anni per Domenico Surace. Le accuse contestate agli imputati sono, a vario titolo, quelle di sequestro di persona e tentata estorsione, reati aggravati dal metodo mafioso. Nello specifico il gruppo, secondo quanto ricostruito dagli agenti della Squadra Mobile, avrebbero sequestrato il gestore di una pizzeria per estorcergli del denaro. Il fatto risale alla sera del trenta dicembre scorso quando la compagna della vittima, proprietaria dell’esercizio commerciale, richiede l’intervento delle forze dell’ordine perché pochi attimi prima aveva visto il suo compagno essere prelevato di forza, e contro la sua volontà, da alcuni soggetti.


Il debito di 50 euro

La vittima infatti, dopo essere stata trascinata in auto, secondo l’accusa da Francesco Belfiore, Massimiliano Polimeni e Bruno Scaramozzino,  verrà condotta a Pellaro, quartiere alla periferia sud di Reggio, in casa di Giuseppe Surace dove erano presenti anche gli altri arrestati oggi. Al gestore della pizzeria era stato chiesto il pagamento di 500 euro come estorsione perché non aveva saldato 50 euro al suo dipendente. L’uomo, aveva pattuito con Giuseppe Surace, arrestato nel blitz, lo stipendio di 800 euro, ma gliene aveva dati solo 750. “Mancavano” solo 50 euro, ma il gruppo ne voleva altri 500.

Minacce e pressioni

Una estorsione in piena regola compita anche attraverso minacce di morte e il “richiamo” alla ‘ndrangheta. Il tentativo estorsivo non andrà a buon fine poiché quando la vittima verrà finalmente riaccompagnata in pizzeria la presenza sul luogo della Polizia farà desistere i presunti estortori dal loro piano. «È emerso in modo chiaro ed evidente dalle indagini  che tutti gli indagati hanno agito con minacce e pressioni gravissime, prospettando alla vittima il male maggiore, ovvero la morte per lui, la compagna ed i bambini di quest’ultima e presentato allo stesso la minaccia come non solo verosimile, ma probabile, evocando l’intervento di un gruppo a favore di Francesco Belfiore, definitosi “capo di San Cristoforo”. A scrivere così era il gip distrettuale di Reggio Calabria, Antonino Foti che ha ordinato l’arresto dei presunti autori che oggi rischiano dure condanne all’esito de giudizio abbreviato. Dopo gli interventi difensivi il 20 settembre il giudice per l’udienza preliminare si ritirerà in camera di consiglio per emettere la sentenza.   


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