Alchemia, «La Stocco e Stocco non è in mano alla 'ndrangheta»

Ecco le motivazioni della sentenza con cui il gup ha assolto l’ex vice presidente del Consiglio regionale Francesco D’Agostino accusato di intestazione fittizia

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di Consolato Minniti
6 marzo 2019
13:37
Francesco d’Agostino
Francesco d’Agostino

«Assenza di qualunque scelta e strategia imprenditoriale riguardante la ditta “Stocco&Stocco”» e «nessuna traccia di acquisizione e/o trasferimento degli utili prodotti nel corso della lunga attività o anche di inserimento di capitali nell’esercizio dell’impresa». Con queste conclusioni il gup di Reggio Calabria ha motivato l’assoluzione dell’ex vice presidente del Consiglio regionale Francesco D’Agostino, imputato di intestazione fittizia di beni nel processo “Alchemia”.

Secondo il gup, infatti, così come era emerso già in fase cautelare, l’assunto della Dda non può essere condiviso per una serie di ragioni.


Le dichiarazioni della testimone

In primo luogo vi sono le dichiarazioni di una testimone che ha parlato di una titolarità sostanziale della ditta “Stocco&Stocco” in capo a Francesco Gullace, o comunque di una disponibilità della cosca di tale realtà economica. Ebbene, per il giudice, tali dichiarazioni devono risultare «credibili tali da non aver bisogno di riscontri esterni. Nel caso della donna – spiega il giudice – suo malgrado costretta a vivere in un ambiente criminale, il suo sforzo di riferire correttamente quanto a sua effettiva conoscenza incontra il limite dell’apprensione mediata delle informazioni». Insomma, per il gup il contesto probatorio «non consente di ritenere il dichiarato della teste prova e non indizio», essendoci, oltre le sue parole, solo «meri sospetti, convinzioni personali, ma non sintomatici di disponibilità, ingerenza e/o gestione, per di più su un’attività economica tutt’altro che modesta che avrebbe richiesto una forte presenza della cosca o di un suo delegato nelle attività economiche e gestionali».

La fornitura di stocco e i contatti telefonici

Non vi è, quindi, alcun «serio riscontro circa la reale titolarità dell’azienda in questione», non potendo qualificarsi come tale «l’accertata fornitura di stocco, avvenuta solo in due occasioni, in una, peraltro, con un ritorno pubblicitario per la stessa ditta, né la conversazione, del tutto ambigua, generica e non calzante, intervenuta tra le due donne, di cui una moglie del Giovinazzo». Inoltre, il riferimento a Gullace sarebbe una interpretazione della polizia giudiziaria, non derivando da alcuna parola delle conversanti. Secondo il giudice, dunque, «entrambe le fonti dichiarative menzionate appaiono prive di elementi di conferma significativi, né possono definirsi inequivoche o comunque tali da stigmatizzare l’assunto accusatorio». E neppure i contatti telefonici fra D’Agostino, Scullari ed esponenti del gruppo mafioso possono ritenersi prova dell’effettivo potere sulla “Stocco&Stocco”, poiché «non è dato desumere alcuna ingerenza gestionale nell’attività, posto che se D’Agostino fosse stato effettivamente un prestanome avrebbe dovuto emergere traccia significativa di tale fraudolenta e prevalente intesa». Di più, alcun valore significativo viene attribuito alle due circostanze in cui è stato richiesto gratuitamente dello stocco da Mommo Raso e da Jimmy Giovinazzo, «sia per la modesta portata della merce, sia perché, se l’esercizio commerciale fosse stato riferibile alla famiglia mafiosa, i richiedenti non avrebbero dovuto “ricordare”che si trattava di una fornitura che li riguardava». Ed ancora, il gup non ha ritenuto «univocamente sintomatica» della titolarità dell’azienda l’organizzazione di una cena a base di stocco all’Uliveto Principessa Park Hotel, «potendosi inquadrare l’iniziativa in un contesto pubblicitario promozionale». Da qui «l’assenza di elementi sintomatici di un rapporto funzionale alla gestione concreta dell’attività da parte dei coimputati di D’Agostino» e la conseguente assoluzione per insussistenza del fatto.

 

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Giornalista
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