«Nino Lo Giudice voleva rivolgersi a De Stefano e Romeo per far uscire Luciano di prigione»

'Ndrangheta stragista, il pentito Villani svela l'idea del 'nano' per liberare il fratello dopo l'arresto per usura. Relazioni ad alti livelli: «Per un periodo fummo una cosca d'intoccabili»
di Consolato Minniti
15 gennaio 2018
17:51

Volevano rivolgersi a Paolo Romeo e Giorgio De Stefano gli uomini della cosca Lo Giudice, all’indomani dell’arresto di Luciano, accusato di usura. È quanto ha spiegato oggi il pentito Consolato Villani durante il controesame nell’ambito del processo ‘Ndrangheta stragista in corso a Reggio Calabria e che vede sul banco degli imputati Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano, con l’accusa di essere i mandanti degli attentati ai carabinieri.

 


L'idea per liberare Luciano

Villani ha spiegato che l’episodio avvenne nel 2009, ossia subito dopo che Lo Giudice fu raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di usura. La famiglia riteneva di essere immune da inchieste giudiziarie grazie ai rapporti che Lo Giudice poteva vantare con appartenenti alle istituzioni. Ma le cose andarono in modo decisamente diverso. Il giovane rampollo della famiglia finì comunque nelle maglie della giustizia e con un’accusa anche pesante. Villani ha ricordato quei momenti: «Ci fu una riunione nella bottega di Reliquato, con me e Nino Lo Giudice. Si pensò in quel momento a contattare Giorgio De Stefano e Paolo Romeo che erano gli unici che potevano risolvere la situazione». Il riferimento di Villani è alla asserita capacità dei due di poter “aggiustare” dei processi anche in Cassazione. Ma poi l’idea svanì, perché – ha rimarcato Villani - «Nino Lo Giudice pensò che poteva essere un rischio e cioè che, essendo i De Stefano storicamente contro i Lo Giudice, magari potevano lavorare per ottenere il risultato contrario». L’obiettivo, tuttavia, era e rimaneva quello di fare uscire a tutti i costi Luciano Lo Giudice dalla prigione».

Una cosca d'intoccabili

Secondo il pentito la cosca si sentiva intoccabile proprio con riferimento a quella fitta rete di relazioni su cui poteva contare Luciano Lo Giudice. Una protezione che venne a cadere con il provvedimento emesso per il reato di usura. Ed è da lì che prende le mosse l’idea di mettere le bombe prima in procura generale e poi davanti all’abitazione del procuratore Di Landro.

Consolato Minniti

Giornalista
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