Stuprata per 4 anni dal branco, denunciò e fu costretta a lasciare la Calabria: «Rifarei tutto»

VIDEO INTERVISTA | Anna Maria Scarfò ha partecipato alla prima Conferenza regionale sulla violenza alle donne. L’abbiamo incontrata per raccogliere la sua testimonianza sull’orribile vicenda di cui fu vittima anche a causa del silenzio di un prete che scelse di girarsi dall'altra parte

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di Angela  Panzera
26 ottobre 2018
18:35

«Rifarei tutto». E per questo “tutto” Anna Maria Scarfò, la giovane originaria di San Martino di Taurianova, paesino nel cuore della Piana di Gioia Tauro, intende l’aver denunciato i suoi stupratori. Oggi ha 31 anni e nel suo accento si sentono inflessioni dialettali diverse da quelle calabresi. Ad aver influito sono stati gli anni trascorsi fuori dalla nostra regione; quelli trascorsi lontano dalla Calabria. Quelli del programma di protezione che lo Stato le ha dato per proteggerla; proteggerla non solo dal branco ma anche dalla cattiveria di un paese, di una comunità intera. La giovane è stata ospite a Reggio Calabria nell’ambito della prima conferenza regionale sulla violenza alle donne. L’intervista l’abbiamo realizzata di spalle per tutelare la sua persona e non perché Anna Maria abbia paura. Anna Maria ha coraggio da vendere ma, ancora i rischi per lei sono ancora alti.

«I miei aguzzini? Spero abbiano capito il male che mi hanno fatto»


«Mi hanno rubato parte della vita – racconta -, della mia adolescenza ma non mi hanno rubato la dignità, e la forza di andare avanti, di ribellarmi e di denunciare. Io non li odio. Li ho anche perdonati e spero che dentro di loro abbiano capito il male che mi hanno fatto». Oggi, a distanza di quasi vent’anni dall’inizio del suo incubo Anna Maria è una donna, i segni di quelle violenze li ha ancora ma nelle sue parole non c’è spazio per il rancore. Tutto ha inizio quando aveva solo 13 anni. La giovane per quasi quattro anni, ha subito abusi sessuali. La vigilia di Pasqua del 1999, viene portata in campagna, vicino a un casolare al cui interno c’erano solo qualche sedia e un tavolo. È iniziato così il suo calvario. Tenta di denunciare, ma glielo impediscono.

 

L'incubo non finisce

Gli abusi e le violenze sono ricominciati. Minacce, segni di coltello e bruciature sul corpo, quel corpo che viene ancora violato. Solo nel 2002, la giovane trova il coraggio di ribellarsi. E lo trova perché i suoi aguzzini avevano individuato un’altra vittima: la sua sorellina di solo 11 anni. Ma questo è troppo. Anna Maria denuncia tutto. L’attenzione mediatica incombe sul piccolo paese. La gente fa quadrato ma, dalla parte sbagliata. Anna Maria viene soprannominata “malanova”, ossia disgrazia. Viene isolata, vilipesa, offesa nel cuore e nell’anima. Ma Anna Maria è stata più forte di tutto e di tutti, dell’omertà, della vergogna, della mentalità ‘ndranghetista, più forte di chi ha tentato di strapparle il futuro. Aveva una comunità contro. In televisione diversi cittadini si sono prodigati di urlare al microfono che “si era inventata tutto”. Sulle pagine dei giornali c’era chi gridava “che se l’era cercata”, “che era consenziente”. Il solito gioco al massacro: la vittima che diventa carnefice. Nel febbraio del 2016 Anna Maria otterrà finalmente giustizia. La Cassazione confermerà le condanne emesse nell’ottobre 2013 dalla Corte d’Appello reggina. Sette anni e otto mesi di carcere furono inflitti a Fabio Piccolo, sette anni di reclusione a Maurizio Hanoman, Antonino Cianci, Antonino Cutrupi e Giuseppe Chirico. Sono loro il “branco” che l’ha stuprata.


«Fu don Antonio a firmare la mia condanna»

«Don Antonio è quello che ha firmato la mia condanna. Lui ha saputo per primo quello che mi è successo il 4 aprile del 1999. Il suo silenzio – afferma Scarfò - ha fatto continuare quelle violenze fino al 2002. Per lui non ho parole. Mi avrebbe dovuto tutelare, mi avrebbe dovuto portare dai carabinieri». L’uomo di cui Anna Maria parla è don Antonio Scordo, l’ex parroco di San Martino di Taurianova, che la Cassazione ha condannato nel dicembre del 2016, in via definitiva, ad un anno di carcere (pena sospesa e non menzione nel casellario ndr) in quanto colpevole del reato di falsa testimonianza. Chiamato a deporre nel processo contro i giovani, don Antonio dichiarerà il falso.

Al parroco Annamaria aveva chiesto aiuto, ma le era stato detto di non creare “scandali”. In questa vicenda di “scandali” però, se ne sono registrati parecchi. Nel 2014 Don Scordo verrà “promosso” dal vescovo di Oppido-Palmi, monsignor Francesco Milito a guidare la parrocchia di Sant’Ippolito Martire di Gioia Tauro. Al Corriere della Sera il vescovo Milito dichiarerà che la sua fu una scelta ponderata. «Ho detto a don Scordo che deve essere una torre perché dall’alto può controllare meglio la comunità”» – spiegò il presule. In effetti don Scordò starà solo dalla parte della comunità di San Martino di Taurianova e non dalla parte di Anna Maria. La ragazzina che tra le lacrime gli aveva chiesto sostegno ma, che fu scacciata come i mercanti dal tempio.

«Non sentitevi mai sporche. Denunciate»

Oggi Anna Maria, nonostante le mille difficoltà, sta reagendo e l’occasione odierna è stata un modo non solo per raccontare la sua storia ma, per veicolare un messaggio di speranza alle tante vittime di violenza. «Sto cercando di rifarmi una vita», ci dice ma, nelle sue parole e nei suoi occhi il segno di questa tragica parentesi è ancora tangibile. Nonostante questo non si arrende e parla alle donne, alle ragazze che come lei in questo momento subiscono abusi. «Capisco cosa succede in queste casi-ha concluso- ma denunciate. Non abbiate paura. Anche io sono stata sola all’inizio, condannata da un paese ma non mi sono arresa perché sapevo che c’era un’altra Calabria che mi stava vicino. A queste donne dico di non sentirsi neanche per un giorno sporche. Voi non avete fatto niente. Di rimorsi devono vivere chi ha abusato di loro.

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