Secondo la Procura il «delitto è nascosto tra mura di casa. Un caso da romanzo, partiti da zero e guidati anche dall’istinto». Gli inquirenti si sarebbero insospettiti anche a causa del latrato dei cani del vicinato al passaggio della donna
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I Carabinieri hanno eseguito una misura cautelare in carcere nei confronti di una donna di 63 anni, gravemente indiziata dell’omicidio del compagno convivente, avvenuto nel gennaio 2023. «Non si trattava di una morte naturale. Era un decesso provocato all’interno di una relazione domestica segnata da degrado e violenza». È netto il commento del Procuratore della Repubblica di Palmi, Emanuele Crescenti, a margine dell’arresto avvenuto nei giorni scorsi a Gioia Tauro.
L’uomo fu trovato già privo di vita, apparentemente deceduto per cause naturali, dopo che la donna aveva allertato il 118 parlando di un malore improvviso. Ma qualcosa, da subito, non convinceva.
«C’era qualcosa che non andava – spiega Crescenti – e si è arrivati alla conclusione, anche grazie alle perizie, che non si trattava di una morte naturale ma di un omicidio camuffato. Era una situazione familiare particolare, già seguita dai servizi sociali, che è degenerata fino a provocare la morte dell’uomo. Secondo quanto emerso, sarebbe stato strangolato».
Al momento dell’interrogatorio di garanzia, la donna non ha reso confessioni. «Non sappiamo ancora quale sarà la linea difensiva, ma al momento non ha ammesso alcuna responsabilità» precisa il Procuratore.
A colpire è soprattutto il metodo investigativo seguito dai militari. «Un’indagine tradizionale, quasi da romanzo. Si è partiti da zero, ricostruendo i fatti con rigore ma anche con intuito. È stato un lavoro certosino, fatto di piccoli dettagli che hanno preso corpo col tempo. C’è perfino – negli atti – la testimonianza di come i cani della zona abbaiassero solo al passaggio della donna. Non è una prova, certo. Ma è uno di quegli elementi che, insieme a tanti altri, hanno convinto gli investigatori che qualcosa non tornasse. E avevano ragione».
Le indagini, coordinate dalla Procura di Palmi, hanno permesso di evidenziare lesioni interne e segni sul corpo della vittima incompatibili con una morte naturale, oltre a una ricostruzione temporale degli eventi che mostrava un ritardo sospetto nell’attivazione dei soccorsi. Un comportamento freddo e contraddittorio che ha spinto i Carabinieri a non fermarsi alle apparenze.
«La donna non ha occultato il cadavere – conclude Crescenti – ma ha semplicemente chiamato il 118 dicendo che l’uomo era caduto dal letto e si era sentito male. Non ha parlato di violenza. Ma dietro quella telefonata si nascondeva un delitto».
Ora la 63enne è detenuta nella Casa Circondariale di Reggio Calabria “Giuseppe Panzera”, a disposizione dell’autorità giudiziaria. L’accusa è di omicidio doloso, con la dovuta precisazione – come recita la nota dei Carabinieri – che la donna è da ritenersi presunta innocente fino a sentenza definitiva, secondo quanto sancito dall’articolo 27 della Costituzione.