Il ricordo

Ventisei anni fa moriva il capitano De Grazia, la moglie: «Lo rivedo nell’amore dei miei figli per la natura»

Il ricordo di Anna Vespia sul marito deceduto in circostanze sospette mentre indagava sulle presunte navi dei veleni affondate con carichi pericolosi anche nei mari calabresi

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di Anna Foti
13 dicembre 2021
18:05
Il capitano di Fregata Natale De Grazia
Il capitano di Fregata Natale De Grazia

«Andandosene, mi ha lasciato due figli splendidi che di lui hanno l’integrità e la generosità. In loro, nella loro passione per la natura e nel rispetto per l’ambiente, ritrovo l'uomo con cui avevo scelto di trascorrere tutta la mia vita. Oggi rimpiango che, dopo una vita di sacrifici e impegno, lui non abbia visto i suoi figli crescere e diventare uomini di cui sarebbe stato fiero come lo sono io, e che non abbia potuto godere di tante gioie come quella di diventare nonno».

Mentre si prepara ad un altro Natale senza suo marito, unico grande amore della sua vita, Anna Vespia, nel suo racconto mescola un dolore sempre profondo, per una perdita incolmabile, con un ricordo sempre presente e con la tenace volontà di andare avanti, nonostante una quotidianità difficile segnata dalla malattia.


Vittima del dovere dopo vent'anni

«Come si può descrivere cosa lasci dentro aver salutato, senza sapere che fosse l’ultima volta in cui lo si sarebbe visto, il proprio compagno di vita, un uomo di quasi 39 anni, tempra forte anche se visibilmente segnato dalla consapevolezza di stare svolgendo un lavoro complesso e forse anche rischioso rispetto al quale, la sua rettitudine non gli avrebbe permesso di tirarsi indietro. Separarsene solo per qualche giorno e, invece, poi non rivederlo mai più».

Se lo chiede Anna, rimasta vedova all’età di trentasei anni, con due figli piccoli, Giovanni di dieci anni e Roberto di sette, quella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995. Suo marito, il capitano di Fregata, Natale De Grazia, elemento di punta del pool ecomafie della Procura di Reggio Calabria, collaboratore del sostituto procuratore Franco Neri, stava indagando scrupolosamente sulle presunte navi dei veleni affondate con carichi pericolosi anche nei mari calabresi e sui presunti traffici connessi, quando, a Nocera Inferiore, nel salernitano, fu colto da un malore che gli stroncò la vita.

Il tutto avvenne in circostanze mai pienamente chiarite, mentre si stava recando dalla Calabria alla Liguria per attività investigative legate proprio a quelle indagini. «Mio marito è stato insignito della medaglia d'oro al valor di Marina alla memoria, gli sono stati dedicati molti tributi ma sono stati necessari l’attenzione dei media, un’inchiesta parlamentare e vent’anni per riconoscerlo vittima del dovere, per riconoscere ciò che era sempre stato e che gli era stato negato all’indomani della sua morte», spiega la moglie Anna.

Dall'età di 19 anni la sua vita in mare

Conosciutisi a Gallico, quartiere costiero della città dello Stretto, Anna 16 anni e Natale 19 anni, si erano fidanzati poco prima che lui si imbarcasse per la prima volta. «Già giovanissimo partì a bordo di un petroliere per iniziare la sua vita in mare e per il mare. Una vita che aveva scelto e conquistato con dedizione e determinazione, avendo frequentato l’istituto Nautico a Messina ed essendo poi entrato in Accademia Navale. Il mare accendeva in lui una passione profonda che trasfondeva, oltre che nella professione, anche nello sport. Era un velista a livello agonistico che con l’amico Mimmo Milea si era aggiudicato tanti riconoscimenti. Ancora conservo le medaglie, come conservo le lettere che ci scrivevamo dopo quel primo distacco, nel primo periodo di un fidanzamento durato otto anni», ricorda con fierezza Anna.

Grande senso del dovere e abnegazione

«Divenuto sottoufficiale della Marina mercantile si imbarcò poi sulla fregata Sagittario alla volta del Libano, impegnato in una missione di pace. Uomo fin da giovane chiamato a grandi responsabilità, Natale affrontava tutto con grande senso del dovere e abnegazione», sottolinea Anna. Una presenza di spirito e un ricordo vivido che non smettono di decantare nella sua vita nonostante anche una quotidianità particolarmente dura e faticosa.

«Mi è mancato in ogni giorno della mia vita, mentre da sola crescevo i nostri figli e oggi che la sclerosi multipla sta segnando implacabilmente la mia vita. Mi sono mancati e mi mancano il suo amore e le premure con cui, non ho dubbi, si sarebbe preso cura dei suoi bambini, oggi uomini, e di me. Mi sorregge la Fede e la consapevolezza che, seppur per breve tempo, ho ricevuto l’immensa Grazia della sua presenza e del suo amore nella mia vita e in quella dei miei figli», racconta ancora Anna, insegnante di Lettere che da alcuni mesi purtroppo non può più andare neppure a scuola. Il suo stato di salute è peggiorato, la sua quotidianità è una lotta continua anche per compiere i gesti più semplici. Ma non si arrende Anna e affronta ogni giorno con grande tenacia.

«Rimpiango che non sia qui a gioire dei suoi figli e della sua nipotina»

«Natale avrebbe voluto che il mio spirito restasse battagliero e io devo ammettere che averlo conosciuto e avuto accanto, anche se per un tempo limitato, mi ha reso una persona migliore. Una persona che oggi non intende farsi sopraffare dalla malattia. Non mi arrendo. Quattro mesi fa sono diventata nonna della splendida Diana, figlia di Giovanni e Annalisa, una nuora amabile e dolce che sarebbe piaciuta tanto anche a Natale, che sarebbe stato felicissimo di essere diventato nonno. Una gioia grande che avrebbe meritato. Come lo è stato da padre, sarebbe stato dolcissimo, gioioso e presente. Oggi, forse, più che la verità e la giustizia, che non credo saranno mai raggiunte relativamente alla sua morte, mi mancano la vita e le gioie che, dopo tanti sacrifici, avrebbe certamente meritato di vivere e che io non ho potuto e non posso condividere con lui».

Racconta ancora Anna Vespia, testimoniando come, attraverso la vita dei suoi figli, l’amore per la natura e il rispetto per l’ambiente che ha visto nascere, crescere e radicarsi in loro, manifestarsi nei loro comportamenti, nelle loro scelte e nei loro modi di essere, suo marito Natale, loro papà, non sia mai completamente andato via.

«Non saprò mai la verità sulla sua morte, ma so che avrebbe fatto il suo dovere fino in fondo»

«Sempre con noi. Lo è nella cura degli animali che i miei figli hanno, nella passione di Giovanni per la montagna e lo sport sciistico, nell’indignazione che manifestano quando si rendono conto dell’indifferenza che continua ad esserci sui temi della salute dell’ambiente e del mare e quindi della salute nostra e di chi verrà dopo di noi. Valori imprescindibili per i quali sanno che il loro padre ha speso tutta la sua vita, perdendola forse proprio nell’atto di difenderli. Non so cosa sia successo davvero quella notte, né ormai ho più fiducia che mai lo saprò. So, però, che Natale non si sarebbe fermato e che qualunque cosa stesse cercando, certamente l’avrebbe trovata. Non si sarebbe risparmiato e avrebbe compiuto fino in fondo il suo dovere, perché questo era l’uomo e il compagno di vita che avevo accanto e di cui mai avrei voluto cambiarne la natura».

Racconta con fierezza Anna, oggi una donna tutt’altro che rassegnata a non conoscere alcuna verità, che ha cercato e atteso a lungo, anche se lucidamente e fermamente consapevole che «non vi siano ora, come vi siano state allora, la volontà e la possibilità di trovare e svelare questa verità come quella sugli affondamenti dolosi di navi con carichi sospetti sui quali mio marito stava indagando».

Giornalista
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