L'arte degenerata di Michel Fingesten, l'ebreo internato a Ferramonti

VIDEO | Le spoglie del creativo ceco riposano oggi al cimitero di Cerisano. Durante la sua permanenza nel campo calabrese continuò la sua attività

di Salvatore Bruno
28 gennaio 2019
12:45

Nella Germania nazista, l’arte degenerata era quella delle correnti di avanguardia, interpretata da maestri del calibro di Picasso e Goya. Rifletteva i sentimenti di paura e di angoscia che serpeggiavano nell’Europa degli anni trenta, e per questo osteggiata dal regime di Hitler. Inquietudini e tormenti descritti anche nelle caricature di Michel Fingesten, pittore e incisore, tra i più importanti esponenti del primo novecento dell’arte degli ex libris, quei contrassegni di origine araldica, che proprio all’alba del ventesimo secolo si diffusero anche in Europa nelle biblioteche dei ceti dell’alta società, diventando segno distintivo delle raccolte di medici, avvocati, commercianti, autori di opere letterarie.

Arrestato in Italia dopo lo scoppio della guerra

Originario di Butzkowitz, località dell’attuale Repubblica Ceca, Fingesten pagò a caro prezzo le sue origini ebraiche. Dopo una lunga permanenza tra Monaco di Baviera e Berlino, fu costretto a lasciare la Germania per sfuggire alle persecuzioni razziali. Cercò riparo in Italia dove la sua fama artistica continuò a crescere, ma venne arrestato nel 1940 nonostante avesse inciso un ex libris anche per Benito Mussolini. Internato come ebreo nel campo di Civitella del Tronto venne trasferito al campo di Ferramonti di Tarsia il 13 novembre 1941, fino alla liberazione da parte delle truppe alleate del 14 settembre del 1943.


Calabrische Elegie dipinto durante la prigionia

Durante la sua permanenza a Ferramonti continuò la sua attività artistica. Dipinse anche Calabrische Elegie, letteralmente Malinconia Calabrese, un’opera nella quale ritrae se stesso privato della libertà. Questo quadro è stato ritrovato dal giornalista Riccardo Ehrman, corrispondente dell’Ansa noto per aver dato per primo la notizia della caduta del Muro di Berlino nel 1989. Lo ha recuperato tra i ricordi della madre, Giuseppina Thorn, anch’ella rinchiusa a Ferramonti che con Fingesten aveva condiviso gli studi all’Università di Vienna. Ehrmann l’ha donata al Museo della Memoria, in questi giorni di celebrazione.

Il destino beffardo che lo condusse alla morte

Fingesten, dopo aver riacquistato la libertà, era tornato anche a dipingere. Realizzò su commissione del parroco di Bisignano don Giuseppe Savaglia, un quadro su tavola raffigurante il martirio di San Bartolomeo, ancora conservato nella chiesa del paese. Ma il destino, beffardo, era dietro l’angolo. Fu investito da un’auto e costretto ad una operazione chirurgica nell’ospedale di fortuna allestito durante la seconda guerra mondiale, a Palazzo Sersale di Cerisano, dove morì per una infezione. Le sue spoglie sono ancora conservate nel cimitero del piccolo centro delle serre cosentine. Il professor Carlo Spartaco Capogreco, docente associato di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Lingue e Scienze dell'Educazione dell'Università della Calabria, primo storico italiano a ricostruire in una monografia le vicende di un campo fascista, quello di Ferramonti appunto, insignito dalla Repubblica di Croazia dell’Ordine della Stella Mattutina per il volume I campi del duce (Einaudi 2004, pubblicato in più lingue), e del Premio Della Resistenza-Città di Omegna col volume Il piombo e l’argento (Donzelli), ricostruisce la storia di Fingesten al microfono di Salvatore Bruno

Giornalista
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