Proseguiamo con i nostri ritratti di scrittori calabresi che, con la loro particolare disposizione intellettuale, con un'idea o una curvatura dello stile, hanno contribuito in maniera decisiva a definire l'anima di una regione, segnalandone un aspetto inatteso ma sostanziale
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Corrado Alvaro (Wikipedia)
Tra gli scrittori italiani del Novecento che hanno raccontato il Mezzogiorno, Corrado Alvaro occupa un posto centrale. Nato, com'è noto, a San Luca, in provincia di Reggio Calabria, nel 1895, Alvaro ha fatto della Calabria una presenza costante — mitica dirà Libero Bigiaretti — nella sua opera narrativa, giornalistica e saggistica: il padre, Antonio, maestro senza diploma e docente ambulante, è il personaggio che ha meglio incarnato il modello di quelle esperienze.
Questo legame con la sua terra d'origine si manifesta in modo emblematico con Calabria, pubblicato nel 1931, e in alcuni scritti compresi nella raccolta Un treno nel Sud, uscita postuma nel 1958. Attraverso questi testi, l'autore, che pure dalla Calabria si è allontanato presto, usa quel mito come fonte perenne di ispirazione e costruisce una rappresentazione della regione che coniuga fedeltà documentaria e tensione etica, partecipazione affettiva e lucidità critica.
Calabria è una riflessione, piuttosto breve, nata come conferenza per un ciclo organizzato da Jolanda De Blasi, la quale aveva chiesto agli scrittori più noti dell'epoca, confidenze e descrizioni relative ai propri luoghi d'origine e alle proprie esperienze letterarie. Successivamente i testi sono stati stampati dalla casa editrice Nemi di Firenze. Il volumetto di Alvaro uscì già nel luglio del 1931, a brevissima distanza dalla prima edizione di Gente in Aspromonte, il suo libro più famoso.
Il testo costituisce uno dei primi momenti in cui l’autore tenta una sintesi storica, antropologica e morale della sua regione. L'incipit della conferenza è molto interessante perché sottolinea come la stessa parola Calabria, per la maggioranza delle persone, rimandi a cose assai vaghe che finiscono per frapporsi tra l'indubbio ingegno dei calabresi e la piena coscienza di quanto l'essenza della propria civiltà sia prossima ai temi nazionali e universali. Delle cose popolari e locali è mancato l'orgoglio che avrebbe permesso loro di affrancarsi dalla loro dimensione folcloristica, facendole diventare universali, aprendole all'avvenire. È così che Alvaro, sottolineando la stratificazione culturale del territorio e il peso delle tradizioni, non rinuncia a un afflato di speranza e di sogno per un avvenire che possa essere audace e nuovo.
È per questo che in molti hanno individuato i pregi del discorso pubblico di Alvaro, sottolineandone la capacità di aver elaborato una coscienza meridionalistica non ideologica, ma vissuta. La Calabria emerge come una realtà refrattaria a ogni generalizzazione, in cui la miseria materiale convive con una complessa ricchezza culturale.
Se Calabria è una visione, gli articoli raccolti in Un treno nel Sud, pubblicati da Bompiani nel 1958, si pongono come un resoconto socio-antropologico scritto tra la fine degli anni quaranta e i primi del decennio successivo. Alvaro rielabora l’esperienza di un viaggio attraverso il Meridione dell’immediato dopoguerra, dedicando una particolare attenzione alla Calabria.
La scrittura è insieme diaristica e sociologica e si colloca nella tradizione del “viaggio nel Sud” praticata da Guido Dorso, Carlo Levi, Rocco Scotellaro e Francesco Jovine, ma con una voce originale. Alvaro è al tempo stesso viaggiatore interiore e osservatore esterno: calabrese, sì, ma distanziato.
Secondo Goffredo Fofi, Un treno nel Sud è il testo in cui più chiaramente emerge l’Alvaro civile, l’intellettuale che si assume il compito di raccontare ciò che l’Italia del miracolo economico preferisce non vedere e, d'altronde, sarebbe necessario che il resto d'Italia si accorga prima possibile che, fino a quando la questione meridionale non sarà risolta, ugualmente irrisolto sarà l'assetto della nostra società. Pur cogliendo con grande lucidità il momento di grande mutamento che sta attraversando la Calabria, Alvaro sottolinea l'importanza di capire il carattere contraddittorio della modernità che, da un lato, vede nascere miracolosamente ponti e strade che erano l'aspirazione di secoli, dall'altro, pulsando col suo motore nel più piccolo villaggio, corre il rischio che i luoghi e la dimensione popolare diventino meri oggetti di curiosità e archeologia. Come ha notato opportunamente Vito Teti, si tratta di un rilievo che anticipa le riflessioni di Pasolini sui rischi di omologazione e deculturazione.
Il paesaggio, la geografia, la condizione interiore dei suoi abitanti. Alvaro attraversa la Calabria in lungo e in largo e propone la strada che si sarebbe potuta percorrere nei decenni successivi: quella che passa dal miglioramento della vita collettiva che, tenendo conto del carattere della regione avrebbe potuto porre un limite alla crudezza e alla spregiudicatezza del liberismo capitalistico. In questa tensione si situa una visione della Calabria non come “arca perduta” o, peggio ancora, come paradigma dell’arretratezza, ma come terra che costringe a interrogarsi sui limiti tra il mondo dei padri e quello dei figli, su quelli del progresso e sul fallimento delle istituzioni nazionali.
Corrado Alvaro ha rappresentato la Calabria evitando le trappole del pittoresco e della denuncia retorica. La sua è una scrittura mossa da un’etica dello sguardo, che si traduce in uno stile sobrio, antidecorativo e capace di profondità morale. Nella conferenza del 1931 e nei testi di Un treno nel Sud, lo scrittore costruisce un ritratto della sua terra che è anche una forma di intervento nel dibattito nazionale sulla questione meridionale in una tensione continua tra vicinanza e distanza, tra denuncia e appartenenza che rende il suo racconto della Calabria ancora oggi vivo e necessario.
A distanza di quasi un secolo dalla conferenza milanese e di oltre settant’anni dagli articoli di Un treno nel Sud, la Calabria contemporanea conserva molte delle fragilità individuate da Alvaro: la marginalità infrastrutturale, la fuga dei giovani, l’emigrazione che si ripete in nuove forme, la debolezza delle istituzioni locali, la mancanza di servizi essenziali. Certo, la regione ha conosciuto trasformazioni comunque importanti: dopo tutto, l’alfabetizzazione si è diffusa e le vie di comunicazione si sono moltiplicate. Tuttavia, permangono forti squilibri rispetto al resto del Paese e una parte consistente del territorio continua a vivere in una condizione di sospensione tra modernità incompiuta e memoria di un passato non pacificato, mentre manca quasi del tutto l'idea di una prospettiva che consenta di avere una speranza.
Rileggere Alvaro oggi significa dunque misurarsi nuovamente con una Calabria che, pur cambiata, non si è ancora affrancata dai suoi problemi endemici, ma vuol dire anche comprendere concretamente che, operando sulle coscienze, sarebbe ancora possibile avviare un processo di rinnovamento davvero credibile perché ben distante da provincialismo e rassegnazione.