Il pellegrinaggio culturale di Dmitrij Sergeevič Merežkovskij, alla scoperta dei luoghi di Gioacchino da Fiore, avvenne negli anni trenta del secolo scorso. Il padre del simbolismo russo fu spinto ad immergersi nella Calabria gioachimita per «vedere e respirare quella natura, quell’aria». «Gioacchino nacque a Celico - scrisse in "Tre santi: Paolo, Agostino, Francesco"- in Calabria, in una terra sita fra tre continenti: Europa, Asia e Africa; le vette nevose della quale guardano due mari: lo Jonio occidentale e latino e l’Egeo orientale e greco. In Calabria, ai tempi di Gioacchino, si respirava un’aria di universalità come forse in nessun’altra terra del mondo cristiano. I monaci di quei conventi montani potevano spingere lo sguardo non solo verso la metà occidentale del mondo cristiano, ma anche verso quella orientale; non solo, cioè, verso l’unità passata, ma anche verso l’unità futura dell’umanità cristiana nella Chiesa universale. Gioacchino, quando fece ritorno in Calabria, fondò il convento di San Giovanni in Fiore sull’altopiano della Sila, in un bosco secolare di pini, circondato da cime nevose, dove il silenzio profondo è turbato soltanto dal tubare mattutino dei colombi, dallo stridìo meridiano delle aquile, dal mormorio lontano dei torrenti, dal rombo delle valanghe».

Sempre nella stessa opera, Dmitrij Sergeevič Merežkovskij raccontò che Gioacchino, «alla vigilia della sua morte, sulla soglia del nuovo secolo, forse nella stessa città di Celico nei pressi di Cosenza ai piedi dell'Appennino calabro, in un antico oratorio o chiesetta di stile bizantino-romanico, oramai settantenne, predicava un giorno sul Terzo Testamento e sul prossimo avvento dello Spirito Santo. Nella chiesetta, sotto le basse arcate della volta, per le nubi accumulatesi in cielo, faceva buio come di notte. Nel primo Testamento, in quello del Padre è la notte; nel secondo in quello del Figlio, è il mattino; nel terzo, in quello dello Spirito è il giorno». 

Udendo Gioacchino, nell’oscurità del giorno, parlare della luce dell’eterno Giorno, i fedeli volevano svegliarsi a quella luce e non potevano, così come i morti, dormenti nel sepolcro, vedono forse in sogno il sole della vita eterna e vogliono svegliarsi e non possono. Ad un tratto il sole, passando attraverso la cortina delle nubi, inondò la chiesetta di luce accecante. Troncando a mezzo la parola, Gioacchino si voltò verso la finestra da cui piovevano i raggi, si fece il segno della croce e scese dall'ambone. In silenzio la folla gli fece largo e, quando egli uscì dalla chiesa, lo seguì quasi sapesse dove sarebbe stata condotta. I volti erano immobili, gli occhi spalancati: con la stessa forza con cui la luna attrae i sonnambuli, la folla era attratta dal sole. Attraversò in silenzio le vie della piccola città ingrossando via via e uscì nei campi, donde si scorgevano in lontananza biancheggiare, sullo sfondo scuro delle nubi che dileguavano, le vette nevose della Sila. Gioacchino, sempre in silenzio, salì su uno di quei cumuli funebri, così numerosi nella campagna calabrese, in cui riposano i padri vichinghi normanni, "cigni selvaggi del Nord", e voltosi con la faccia al sole, tese le braccia e con tremula voce innalzò un canto appena percepibile nella campagna aperta: "Veni, Creator Spiritus!". Caduta in ginocchio, con i visi rivolti al sole e le braccia alzate, la folla ripeté 'Veni, Creator Spiritus!' Con voce così potente che parve, insieme con la folla, pregassero non solo gli uomini tutti, ma tutte le creature "gementi".

...Così Gioacchino compì alla vigilia della morte ciò che aveva fatto durante tutta la sua vita: condusse gli uomini fuori dalla Chiesa piccola nella Grande, dall’oscura in quella luminosa, dalla servile nella libera. «Spirito santo, vieni!” aveva pregato tutta la vita, e la sua preghiera fu esaudita». Attraverso quali fonti Merežkovskij conobbe la figura di Gioacchino da Fiore? Negli ambienti intellettuali russi circolavano le "Rivelazioni filosofiche" di Schelling ed il romanzo "Spiridion" di George Sand, dove espliciti sono i riferimenti sull'Abate calabrese. Merežkovskij lesse, inoltre, "Gioacchino da Fiore. I tempi, la vita, il messaggio" di Ernesto Buonaiuti e "Joachim de Fiore" di Evgenij Anickov. Buonaiuti proiettò su Gioacchino la sua inquieta vicenda biografica deformandone il pensiero e Merežkovskij lo ricondusse alla sensibilità russa. Per Caterina Balistreri, Merežkovskij non può essere considerato un interprete originale dell'abate calabrese, lo raccontò con grande pathos, da lettore appassionato che in Gioacchino trovò un compagno.

*Presidente del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti