Esiste un modo inconsueto ma efficace per indagare tra le pieghe della guerra. Una lente di ingrandimento capace di mettere a fuoco aspetti poco conosciuti e non per questo immeritevoli di essere raccontati. Sono i giornali di prigionia, autentici strumenti di approfondimento della vita dei detenuti da cui è possibile acquisire preziose informazioni sugli aspetti culturali, sociali, psicologici e umani dei combattenti reclusi.

Durante la prima guerra mondiale furono circa seicentomila i soldati italiani destinati ai campi di prigionia dell'impero austro-ungarico tedesco i quali, per provare a rendere più sopportabile il peso di un presente divenuto troppo gravoso e monotono, iniziarono a dedicarsi a diverse attività per provare a restituire alla propria esistenza una parvenza di normalità. Così, dall'artigianato alla musica, dallo studio delle lingue al teatro, i prigionieri inventarono un ripiego alla tediosità delle proprie giornate. E, in mezzo alle iniziative intraprese, il giornalismo iniziò ad intromettersi nella loro quotidianità. Furono loro stessi a redigere articoli, resoconti, racconti per descrivere le conseguenze e le atrocità del conflitto. Un vero e proprio laboratorio culturale che rappresentò anche un tentativo per salvarsi dall'inferno dentro cui erano precipitati.

Giornali prigionieri

A condurre uno scrupoloso lavoro di ricerca sui giornali di prigionia, compilati a mano, illustrati, poligrafati, ciclostilati o stampati, è stato recentemente il docente cosentino Giuseppe Ferraro, dottore di ricerca presso l’Università di San Marino, attraverso il saggio edito da Donzelli "Giornali prigionieri. La stampa di prigionia durante la Grande Guerra". L'opera dell'autore, che dirige l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano – Comitato provinciale di Cosenza ed è dirigente dell’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea oltre a ricoprire il ruolo di deputato di Storia Patria per la Calabria, documenta nello stesso tempo il desiderio dei prigionieri di contenere la tristezza dei campi di internamento. Un espediente per vivere l'attesa avvinghiandosi alla speranza e guardando oltre il fango e la disperazione.

Pur essendo di fronte ad una pagina di interesse globale in quanto si parla di una prigionia di massa e, nel caso italiano, nei campi austro-ungarici e tedeschi, all'interno del volume non mancano i riferimenti alla Calabria, tenuto anche conto che proprio due di questi giornali di prigionia, "Il Gazzettino di Wonbaraccopoli" e "L'attesa", ebbero come direttore un nostro conterraneo nativo di San Giovanni in Fiore e residente a Cosenza.

Con questa monografia, Ferraro conferma un'attenzione verso la storia della regione, incastonandola all'interno di un discorso nazionale ed internazionale, restituendo nello stesso tempo un valore civile alla propria ricerca che si alimenta di tante storie che fanno parte dei vissuti dei singoli, i grandi protagonisti del grande mosaico della storia del ventesimo secolo